venerdì 21 marzo 2025

Atamansha - la vita di -Marusya Nikiforova - di Malcom Archibald




“Maria Nikiforova, anarchica rivoluzionaria ucraina,  completamente assente dalla storiografia ufficiale, e persino autori vicini all’anarchismo non ne fanno menzione. Sebbene lei fosse molto vicina al famoso contadino anarchico Nestor Makhno , è raro trovarla menzionata nei libri sulla figura di Makhno. Eppure nel 1918 la Nikiforova era già famosa come atamansha (comandante militare) anarchica  in tutta l’ucraina, quando Makhno era ancora un personaggio poco noto, attivo solo nelle retrovie della provincia. La Nikiforova non compare in alcuna opera di Peter Arshinov, di Volin e di Paul Avrich. Alexandre Skirda le dedica solo un capitolo nel suo libro di 400 pagine su Makhno. Fanno eccezione lo stesso Makhno ed il suo ex-assistente Victor Belash. Nelle sue memorie ( che coprono 22 mwsi di rivoluzione e guerra civile) Makhno riporta testimonianze di diversi scontri drammatici in cui la Nikiforova ebbe un ruolo  dirigente. Anche Belash, la cui opera è stata salvata dagli archivi della polizia segreta sovietica, compaiono fonti primarie su di lei.

 

L’opuscolo contiene anche :

Nestor Makhno : sulla questione della difesa della rivoluzione 
Nestor Makhno: Lenin e il leninismo, guide del proletariato mondiale?????


 

Introduzione

 

L’attivista anarchica ucraina Maria Nikiforova (1887–1919) è stata a volte paragonata a Giovanna DArco. Al pari di Giovanna DArco ebbe umili origini e, in maniera del tutto inattesa, divenne una crudele comandante militare che venne catturata ed uccisa dai suoi nemici giurati. E, come Giovanna, era una fanatica che perseguiva i suoi scopi in modo violento e spietato.

 

Ma non c’è nessun culto di Maria Nikiforova. Non ci sono scaffali di libri, in nessuna lingua, dedicati alla sua vita. Sebbene lei abbia avuto un ruolo molto importante nella Rivoluzione Russa del 1917 e nella seguente Guerra Civile, è stata virtualmente espunta dalla storiografia sovietica sul periodo. Un dizionario di biografie della Rivouzione Russa pubblicato nell’Unione Sovietica, con centinaia di nomi, non ne fa alcuna menzione, nemmeno tra le sole due dozzine di donne inserite. Compaiono eroine bolsceviche come Alexandra Kollontai, Larissa Reissner ed Inessa Armand ma nessuna di queste donne ha mai avuto un comando militare indipendente come fu per la Nikiforova.

 

Non c’è nessuna ricerca biografica universitaria su Maria Nikiforova, nessuna storiografia della sua vita che possa essere aggiornata e magari reinterpretata. In parte ciò è dovuto al fatto che lei passò gran parte della sua vita in clandestinità: aderì ad un gruppo anarchico terrorista a 16 anni ed è stata attiva “alla luce del sole” appena per due anni (1917-1919). Per cui ci sono pochissime fonti per ricostruire le sue attività e non ci sono nemmeno foto. Essere riconosciuti poteva essere fatale per una terrrorista e così è stato per la Nikiforova fino alla fine. I riferimenti sulla sua vita attualmente esistenti sono di solito tratti dalla memorialistica o dalla finzione romanzata. La maggior parte di questi riferimenti risultano ostili alla Nikiforova e tendono a dipingerla come una donna respingente e cattiva.

 

Nikiforova era un’ucraina e le sue attività nella Rivoluzione Russa e nella Guerra Civile hanno avuto come teatro soprattutto l’Ucraina, eppure è stata del tutto ignorata dagli storici ucraini. Lei era una anti-nazionalista e - al pari del movimento anarchico ucraino in generale - non poteva essere ricondotta ad una prospettiva storicamente nazionalista.


Persino autori vicini all’anarchismo non ne fanno menzione. Sebbene lei fosse molto vicina al famoso contadino anarchico Nestor Makhno, è raro trovarla menzionata nei libri sulla figura di Makhno. Eppure nel 1918 la Nikiforova era già famosa come una atamansha (comandante militare) anarchica in tutta l’Ucraina, quando Makhno era ancora un personaggio poco noto, attivo solo nelle retrovie della provincia. La Nikiforova non compare in alcuna opera di Peter Arshinov, di Volin e di Paul Avrich. Alexandre Skirda le dedica solo un capitolo nel suo libro di 400 pagine su Makhno. Fanno eccezione lo stesso Makhno ed il suo ex-assistente Victor Belash. Nelle sue memorie (che coprono 22 mesi di rivoluzione e guerra civile) Makhno riporta testimonianze di diversi scontri drammatici in cui la Nikiforova ebbe un ruolo dirigente. Anche in Belash, la cui opera è stata salvata dagli archivi della polizia segreta sovietica, compaiono fonti primarie su di lei.

 

Fin dal collasso dell’Unione Sovietica si è sviluppato in Russia ed in Ucraina un tremendo interesse nel rintracciare le “collusioni coi Bianchi” nella storia di Makhno e della Nikiforova. Makhno e Nikiforova hanno beneficiato di questo interesse vista la pubblicazione di molti libri su Makhno e di alcuni saggi sulla Nikiforova. Gli archivi hanno restituito alcune informazioni ben solide; per esempio, lo stato di servizio della Nikiforova risale a quando era membro dellArmata Rossa. Gradualmente viene alla luce un ritratto della sua vita ed è possibile stabilire una narrazione ragionevolmente fondata anche se permangono molte ambiguità.

 

Qui di seguito un ritratto della vita della Nikiforova basato soprattutto su fonti secondarie pubblicate in Russia ed in Ucraina negli ultimi venti anni.

 

La giovane terrorista

 

Secondo la tradizione, Maria Grigorevna Nikiforova è nata nella città ucraina di Aleksandrovsk nel 1885, figlia di un ufficiale che era stato un eroe nell’ultima guerra russo-turca. Anche se questo potrebbe spiegare l’ardore militare di lei, non sembra che le cose stiano così. Nemmeno la figlia di un ufficiale impoveritosi  avrebbe lasciato la famiglia a 16 anni per andare a vivere da sola, come poi fece Maria.

 

All’inizio del 20° secolo, Aleksandrovsk era una città in rapida industrializzazione con una consistente popolazione di classe


operaia. All’epoca non c’erano molte occasioni di lavoro per le donne, ma Maria riuscì a trovare lavoro come baby sitter, come commessa, come addetta al lavaggio delle bottiglie in una distilleria di vodka.

 

Più o meno nello stesso periodo la Nikiforova trovò lavoro come operaia e si unì ad un gruppo di comunisti anarchici. Questa tendenza politica si distingueva dagli alti gruppi di sinistra, compresi gli anarchici, poichè riteneva che la società umana avesse già raggiunto un livello tale da poter permettere una transizione immediata al comunismo. I comunisti anarchici iniziarono ad essere attivi in Ucraina nel 1903 ed ebbero un considerevole successo tra la gioventù della classe operaia nei centri industriali. Durante gli eventi rivoluzionari del 1905-1907 c’erano almeno 90 gruppi comunisti anarchici in Ucraina, più numerosi e meglio organizzati di quelli in Russia.

 

Molti di questi gruppi, compreso quello di Maria, fecero proprio il terrorismo senza motivo (bezmotivny terror), sostenendo la necessità di attaccare gli agenti della repressione economica sulla base della loro posizione di classe. Questo terrorismo economico segnò un cambiamento rispetto alla diverse precedenti varietà del terrorismo russo in cui gli obiettivi dei terroristi erano i tiranni politici. Dopo aver scontato una sorta di libertà vigilata, Maria divenne una vera e propria militante (boevik), col potere di prendere parte a espropri (per raccogliere fondi per la causa) e ad atti di terrorismo.

 

Anche i nostri tempi hanno visto episodi di “terrorismo senza motivo, ma è importante collocare i terroristi anarchici ucraini nel contesto del loro tempo, non nel nostro. I primi anni del XX secolo avevano creato tra le classi popolari dell’impero russo delle frustrazioni represse a causa del fallimento delle attività rivoluzionarie per cambiare l’ordine socio-politico del Paese in modo significativo. Quello russo era un impero guidato da un monarca che era un membro onorario dell’ “Unione del popolo russo, un’organizzazione più o meno equivalente al Ku Klux Klan. In attività non c’erano solo gli anarchici che facevano ricorso al terrore contro il regime. Tutti i gruppi socialisti usavano il terrorismo. Anche anche i liberali della classe media approvavano luso del terrore contro la repressione zarista. E anche se gli anarchici russi non erano più di qualche migliaio, le fila dei loro simpatizzanti erano molto più numerose.


Maria prese parte ad un attentato dinamitardo ad un treno passeggeri. Non ci fu nessun ferito, ma alcuni passeggeri benestanti ne rimasero terrorizzati. In un altro attentato dinamitardo rimase ucciso il fattore di una azienda agricola, provocandone le chiusura per un lungo periodo. Un attentato all’ufficio commerciale di una fabbrica di macchine agricole ad Aleksandrovsk provocò la morte del cassiere-capo e di una guardia, oltre a fruttare 17.000 rubli. Quando la polizia le fu addosso, Maria cercò di farsi saltare in aria con una bomba, che però non esplose e così venne incarcerata.

 

Nel processo del 1908 venne accusata dell’omicidio di un poliziotto e di avere preso parte a furti in armerie in quattro diverse località. La corte la condannò a morte, ma poi a causa della sua giovane età (nellImpero Russo si diventava maggiorenni a 21 anni), la sentenza venne commutata in venti anni di lavori forzati. Venne mandata prima nella fortezza di Petro-Pavlovsk nella capitale russa e poi in Siberia per scontare la pena.

 

E difficile stabilire esattamente quando ad un certo punto della sua vita, Maria Nikiforova iniziò ad essere nota come “Marusya, uno dei tanti diminutivi slavi per “Maria. Nella tradizione popolare ci si riferisce a lei sempre come Marusya, cosa che certamente lei tollerò, consentendo persino agli sconosciuti di rivolgersi a lei chiamandola Marusya. Dunque anche noi la chiameremo così in questo saggio.

 

Il Grand Tour

 

Marusya non rimase a lungo in Siberia. Secondo una fonte, organizzò una rivolta nella prigione di Narymsk e fuggì attraverso la taiga verso la Grande Ferrovia Siberiana. Probabilmente raggiunse Vladivostok, e da lì il Giappone, dove venne aiutata da studenti cinesi anarchici che le procurarono un biglietto per gli U.S.A. Qui si sistemò temporaneamente presso la numerosa comunità di anarchici emigrati dall’Impero Russo, soprattutto di origine ebraica, che si erano stabiliti a New York e Chicago. Pare che Marusya ebbe modo di pubblicare articoli di propaganda in lingua russa sotto vari pseudonimi.

 

Nel 1912, Marusya ritornò in Europa stabilendosi a Parigi. Nel 1913 era in Spagna dove ebbe la possibilità di mettere a disposizione la sua abilità nelle “azioni con gli anarchici spagnoli. Durante una


rapina anarchica ad una banca a Barcellona, Marusya venne ferita e portata segretamente in una clinica francese per essere curata.

 

Nell’autunno del 1913 è di nuovo a Parigi, dove frequenta i caffè, poeti ed artisti, vari politici russi come il social-democratico Vladimir Antonov-Ovseyenko che l’avrebbe poi aiutata in alcune situazioni difficili. Scoprì di avere un talento o almeno una predilezione per la pittura e la scultura e si mise a frequentare le scuole d’arte.

 

Marusya si sposò con il polacco anarchico Witold Bzhostek. Fu certamente un matrimonio di convenienza, dato che i due passarono lunghi periodi senza vedersi e Marusya continuò a portare il cognome da nubile. Tuttavia sembravano molto legati l’uno all’altra fino a condividere lo stesso destino.

 

Alla fine del 1913, Marusya era a Londra per partecipare come delegata ad un congresso di comunisti-anarchici. Era una dei 26 delegati e si firmò come “Marusya. Uno dei temi più importanti del congresso era la mancanza di formazione anarchica e di propaganda agitatoria, specialmente in confronto ai competitori marxisti.

 

Questo periodo alquanto idilliaco della sua vita ebbe brutalmente fine con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il conflitto portò a divisioni all’interno della sinistra tra gruppi interventisti e gruppi anti-militaristi. Gli anarchici non fecero eccezione ed i comunisti anarchici si schierarono con Kropotkin che aveva posizioni anti- tedesche. Pare che Marusya si sia schierata con Kropotkin non solo in teoria, dato che entrò in una scuola militare francese e ne uscì col grado di ufficiale. Secondo quanto dichiarato da lei stessa, venne inviata sul fronte di Salonicco, dove apprese dello scoppio della rivoluzione in Russia.

 

Come molti immigrati russi di sinistra, Marusya fece ritorno in Russia nel 1917. Raggiunse Pietrogrado e si gettò immediatamente nell’attività rivoluzionaria.

 

I giorni della rivoluzione a Pietrogrado

 

Pietrogrado era la sede di due organi di potere concorrenti il Governo Provvisorio ed il Soviet di Pietrogrado. Il Governo Provvisorio, privo di legittimazione in quanto non era mai stato eletto, era gestito dai liberali e da socialisti di destra. Non volendo e non essendo in grado di porre fine alla partecipazione della Russia nella guerra mondiale


e risolvere la questione della terra nelle campagne, il governo provvisorio barcollava da una crisi all’altra. Il Soviet di Pietrogrado comprendeva i gruppi più radicali, come i bolscevichi, che erano determinati a non fermarsi solo alla distruzione del sistema zarista, bensì a puntare alla fine dell’ordine borghese.

 

Gli anarchici russi, come spesso accadde nel 1917-18, agivano come truppe d’assalto per i gruppi meglio organizzati dell’estrema sinistra. Le attività rivoluzionarie degli anarchici portarono alla repressione da parte del governo provvisorio che arrestò 60 di loro a Pietrogrado nel mese di giugno 1917. Uno di quelli rimasti in libertà era il comunista anarchico S. Bleikhman, un deputato popolare del Soviet di Pietrogrado. Bleikhman aveva organizzato una grande manifestazione anti-governativa per il 3 luglio che avrebbe dovuto coinvolgere il personale militare nonché i lavoratori militanti. La partecipazione dei marinai della vicina base navale di Kronstadt fu fondamentale e gli anarchici misero insieme una squadra di agitatori per convincere i marinai a partecipare.

 

Essendo giunta da poco in Russia, Marusya fu tra gli anarchici che si recarono a Kronstadt. Fece dei comizi nella grandissima Piazza Anchor di fronte ad una folla di 8.000 - 10.000 marinai, incitandoli a non starsene in disparte. Grazie anche alle sue parole, diverse migliaia di marinai si recarono a Pietrogrado per le manifestazioni del

3 e 4 luglio che quasi fecero cadere il Governo Provvisorio. Sebbene le organizzazioni bolsceviche sostenessero le manifestazioni, i dirigenti del Partito Bolscevico respinsero l’idea di una insurrezione in quanto “prematura” e destinata al fallimento.

 

Il governo iniziò a perseguitare i bolscevichi e gli anarchici. Tra i bolscevichi, finì in prigione Alexandra Kollontai, che era amica di Marusya, mentre altri fuggirono verso la vicina Finlandia. I marinai di Kronstadt diedero rifugio e protezione a Bleikhman impedendo che fosse arrestato. Marusya decise che era giunta l’ora di ritornare in Ucraina per cercare di far rinascere il movimento anarchico ucraino. Nel luglio 1917, giunse ad Aleksandrovsk, dopo un’odissea di otto anni che l’aveva portata in giro per il mondo.

 

Marusya: la persona e l’attivista

 

questo puntappare  appropriato  affrontare  la questione controversa della sessualità di Marusya. Secondo alcune fonti


pubbliche, dichiaratamente scritte dopo la sua morte da persone che le erano ostili, Marusya sarebbe stata quella che oggi verrebbe definita come persona intersex. Questo ritratto si ritrova in spietate descrizioni fisiche della sua persona, come nel caso dell’ex-makhnovista Chudnov che di lei scrisse nel 1918: “Era una donna di 32-35 anni, di media altezza, con un volto emaciato e prematuramente invecchiato che aveva qualcosa dell’eunuco o dell’ermafrodito. Portava i capelli corti tagliati in foggia circolare.

 

L’agitatore bolscevico Kiselev scrisse nelle sue memorie di aver conosciuto Marusya nel 1919: Aveva circa 30 anni. Esile con un volto emaciato, dava l’impressione di una signora vecchio stampo. Naso sottile. Indossava una blusa ed una camicia, portava un cinturone con la pistola in vista. Kiselev accusò Marusya di essere stata una cocainomane. La maggior parte dei ritratti di parte bolscevica hanno tutti lo stesso stampo.

 

Fa eccezione il bolscevico Raksha che conobbe Marusya nella primavera del 1918:Avevo sentito dire che fosse una bella donna... Marusya se ne stava seduta al tavolo con una sigaretta tra i denti. Questa diavolessa era veramente bella: sulla trentina, capelli nero- zingaro con un magnifico seno che prorompeva dalla sua camicia militare.

 

Ancor  un su descri z i on del l ’estat de 1918: “Una carrozza è schizzata per la strada a una velocità folle. Incurante del pericolo vi era sopra sdraiata una giovane bruna con un kubanka inclinato in modo sbarazzino sulla testa. In piedi sulla pedana c’era un tipo dalle spalle larghe che indossava calzoni rossi da cavalleria. La bruna e la sua guardia del corpo portavano addosso tutti i tipi di armi possibili.

 

Generalmente le descrizioni fisiche di Marusya oscillano tra queste due visioni: una che ne fa una donna attraente, l’altra una donna respingente. Si può certamente sospettare che i memorialisti bolscevichi, disapprovando l’ideologia di Marusya, abbiano cercato di farla apparire fisicamente brutta. Quello che sappiamo con certezza è che Marusya era un personaggio carismatico che faceva una forte impressione sulle persone che incontrava ed era in grado di influenzarle solo in virtù alla sua forte personalità. I suoi commilitoni le erano tenacemente fedeli, cosa che lei ricambiava con la stessa lealtà.


Le opinioni politiche di Marusya sono ben note grazie ai suoi numerosi comizi. Il carcere, i lavori forzati e le sue peregrinazioni in vari paesi avevano rafforzato le convinzioni politiche della sua gioventù. Era solita dire: “Gli anarchici non fanno promesse. Gli anarchici vogliono solo che il popolo prenda coscienza della sua situazione e conquisti la libertà con le sue mani.Il suo credo, espresso più volte, era questo: “Gli operai ed i contadini devono, il più rapidamente possibile, prendersi tutto ciò che essi hanno costruito nel corso dei secoli ed usarlo per i loro propri interessi.

 

Sul piano della tattica, Marusya era stata influenzata dal veterano anarchico Apollon Karelin che lei aveva conosciuto a Pietrogrado. Karelin era esponente della tendenza nota come “anarchismo sovietico” che incoraggiava gli anarchici a partecipare alle istituzioni sovietiche allo scopo di spingere la rivoluzione nella direzione giusta, quella di maggiore libertà. Quando i soviet iniziarono a deviare dal percorso originario, gli anarchici si ribellarono. Karelin stesso divenne membro del più alto organismo dei soviet nel 1918. Molti anarchici disapprovavano questa tattica, soprattutto perchè si ritrovavano in genere ad essere in netta minoranza all’interno degli organismi del sistema sovietico.

 

 

 

Aleksandrovsk & Gulyai-Pole

 

Tornata ad Aleksandrovsk, Marusya scoprì che vi era una Federazione Anarchica composta da 300 militanti, ma senza alcuna influenza sulla politica locale. Marusya diede una scossa alle cose - in un istante si ritrovò ad avere seguito tra gli operai e condusse con successo l’esproprio di un milione di rubli nella distilleria Badovsky (forse quella dove aveva lavorato). Una parte del denaro venne donato al soviet di Aleksandrovsk.

 

Aleksandrovsk era il capoluogo della uyezd [unità amministrativa dell’impero zarista, ndt] in cui era situato Gulyai-Pole. Questo “villaggio” di 17.000 abitanti aveva dato i natali a Makhno, la figura di spicco del gruppo comunista anarchico locale che aveva un centinaio di militanti. Makhno aveva stretti rapporti con la Federazione Anarchica di Aleksandrovsk, dove   si recava frequentemente nonostante fosse scettico sulle attività (o mancanza di attività) di quella federazione. Gli anarchici di    Aleksandrovsk erano a loro volta  critici verso Makhno, accusandolo di voler guidare un partito politico per cercare di prendere il potere.

 

Marusya si incaricò di recarsi a Gulyai-Pole (circa 80 km a est di Aleksandrovsk, ma molto di più in treno) per rampognare gli anarchici locali che - secondo lei - non si erano spesi abbastanza nello spremere duramente la borghesia locale. Il 29 agosto 1917 fece un comizio all’aperto in un’assemblea molto partecipata, presieduta da Makhno, nei giardini pubblici del paese.

 

In quel comizio Marusya predicò il vangelo dell’insurrezione: ribellarsi e ribellarsi finchè tutti gli organi del potere non siano eliminati. Portare la rivoluzione fino in fondo ora, diceva, oppure il Capitale risorgerà. Faceva appello anche ad un’azione immediata per rispondere all’aggresssione ai danni della rivoluzione da parte del potere statale ucraino collegato con la costituzione del governo della Central’na Rada [istituzione governativa di breve durata creata dai socialisti nel 1917 per governare l’Ucraina, ndt]. Non bisognava tergiversare, diceva Marusya, proponendo azioni terroristiche contro i sostenitori del nascente Stato ucraino.

 

Mentre Marusya arringava la gente del posto, a Makhno vennero improvvisamente consegnati due telegrammi. Interruppe Marusya e disse ad un pubblico sbalordito “La rivoluzione è in pericolo!

 

Entrambi i telegrammi provenivano da Pietrogrado - uno del governo provvisorio, l’altro del Soviet di Pietrogrado. Entrambi si riferivano all’ammutinamento del generale Kornilov ed alla sua avanzata su Pietrogrado per porre fine alla rivoluzione. Il telegramma del Soviet suggeriva la formazione a livello locale di “Comitati per la salvezza della rivoluzione.

 

Mentre la folla rumoreggiava, risuonò una voce: “il sangue dei nostri fratelli già scorre ma qui i contro-rivoluzionari se la prendono a risate.” Dal palco venne indicato un certo Ivanov, un ex-agente segreto. Marusya subito saltò giù dalla piattaforma e “arrestò” Ivanov che si trovò circondato da una folla inferocita. Makhno intervenne per salvare la vita dell’ex-poliziotto dicendo che era “innocuo.

 

Il Sindacato dei Contadini di Gulyai-Pole e il gruppo comunista- anarchico adottarono l’invito del Soviet di Pietrogrado, con un piccolo cambiamento: formarono un Comitato per la difesa della rivoluzione. La sua prima azione fu quella di confiscare tutte le armi nelle mani della borghesia locale. Marusya aveva qualcosa di leggermente diverso in mente. Nella vicina città di Orekhov erano di stanza due reggimenti dell’esercito regolare. Marusya propose di andare a prendere le loro armi.

 

Organizzò una milizia di circa 200 militanti ed il 10 settembre si spostarono in treno verso Orekhov. Erano armati in maniera indeguata, disponendo solo di un paio di dozzine di fucili ed altrettante pistole sequestrate alla polizia ferroviaria di Gulyai-Pole. Giunti ad Orekhov, circondarono il quartier generale dei reggimenti militari. Il loro comandante riuscì a darsela a gambe, ma gli ufficiali più giovani vennero catturati. Marusya li uccise con le sue stesse mani, mostrando la sua determinazione nell’uccidere chiunque appartenesse all’odiata “casta degli ufficiali. La truppa fu ben felice di consegnare le armi e di far ritorno a casa. Le armi vennero portate a Gulyai-Pole e Marusya ritornò ad Aleksandrovsk.

 

Gli organismi del Governo Provvisorio di Aleksandrovsk erano sotto la guida del commissario-capo B. Mikhno (un liberale) e del commissario militare S. Popov (socialista rivoluzionario). Queste autorità rimasero infastidite da quello che succedeva a Gulyai- Pole, in particolare, dalla confisca delle armi della borghesia e dalla divisione del latifondo tra i contadini. Gli organismi locali di Gulyai-Pole, completamente infiltrati dagli anarchici, iniziarono a ricevere

ordini minacciosi dalle più alte autorità.

 

A Gulyai-Pole, questi ordini vennero ignorati; infatti Makhno reagì recandosi ad Aleksandrovsk con un altro delegato, B. Antonov, per incontrare direttamente gruppi di operai. I due anarchici vennero accompagnati in città da Marusya che li portò in diverse assemblee di fabbrica. Dal momento che Makhno e Antonov agivano su mandato del soviet di Gulyai-Pole, le autorità non osarono toccarli. Ma con Marusya era una storia differente e dopo che Makhno ed Antonov ebbero lasciato la città, lei venne arrestata in casa sua e portata in carcere in auto.

 

Le cose però presero subito una spiacevole piega per le autorità. Marusya era molto popolare tra gli operai di Aleksandrovsk e la notizia del suo arresto divampò come un incendio. Il mattino dopo il suo arresto una delegazione di operai si recò dal commissario per chiedere il suo rilascio. La richiesta venne respinta. Ma ad Aleksandrovsk c’era anche un soviet che condivideva il potere con il governo ufficiale. Venne organizzato un corteo che si diresse verso la sede del Soviet a chiedere giustizia. Le fabbriche lavorarono al minimo facendo risuonare le loro sirene per tutta la durata del corteo. Lungo il percorso i manifestanti si imbatterono nella carrozza del presidente del Soviet, Mochalov (un menscevico), che venne letteralmente costretto a cambiare percorso per recarsi al carcere insieme ad alcuni delegati degli operai. Marusya venne liberata e portata in manifestazione dove venne fatta passare sulle teste degli operai fino a comparire di fronte alla folla ammassata davanti alla sede del Soviet. Marusya, che aveva una voce potente, colse l’occasione per fare un discorso che spingeva verso la mobilitazione e verso la lotta contro il governo per una società libera da ogni autorità.

 

Intanto la notizia dell’arresto di Marusya stava causando il caos a Gulyai-Pole. Makhno riuscì a raggiungere il commissario Mikhno per telefono; si scambiarono minacce reciproche e  Mikhno riattaccò. Gli anarchici riempirono un treno per attaccare il governo ad Aleksandrovsk. Lungo il tragitto ricevettero notizia della liberazione di Marusya e si fermarono per festeggiare.

 

La conseguenza politica di questi avvenimenti fu che le nuove elezioni del Soviet di Aleksandrovsk spostarono a sinistra gli equilibri, con l’elezione anche di alcuni anarchici e col mandato di non ostacolare le attività rivoluzionarie a Gulyai-Pole.

 

La Rivoluzione d’Ottobre in Ucraina

 

Come la maggior parte degli anarchici, Marusya accolse con entusiasmo le notizie della Rivoluzione d’Ottobre. Gli anarchici considerarono il colpo di stato dei bolscevichi e della Sinistra Socialista Rivoluzionaria (costituenti del cosiddetto Blocco di Sinistra) come uno stadio ulteriore nell’estinzione dello Stato. Una volta scomparso lo zarismo e lo stato borghese, gli anarchici erano convinti che il governo del Blocco di Sinistra sarebbe stato un fenomeno temporaneo che sarebbe presto scomparso.

 

Marusya passò l’autunno ad organizzare i reparti della “Guardia Neraad Aleksandrovsk e ad Elizavetgrad, una città dell’Ucraina centrale, in cui c’era una forte federazione anarchica. Secondo alcune fornti storiche, Marusya fu responsabile dell’uccisiondepresidentdeSoviedElizavetgrad. Dopo la rivoluzione d’ottobre, i soviet di molte città ucraine assunsero posizioni più vicine alla Central’na Rada [Consiglio Centrale, ndt] ucraina di Kiev, piuttosto che al governo sovietico di Pietrogrado. Ad Aleksandrovsk la stessa decisione venne presa il 22 novembre

1917 con 147 voti contro 95, favorevoli a diventare parte della

Repubblica Nazionale Ucraina con base a Kiev.

 

Quando il governo nazionalista di Kiev si rifiutò di riconoscere il governo del Blocco di Sinistra a Mosca, questo invase l’Ucraina con una forza eterogenea composta da unità della Guardia Rossa. Entrambe le parti si combatterono in una sorta di “guerra diagonale, avanzando o ritirandosi lungo le linee ferroviarie, similmente a quanto stava accadendo nella contemporanea Rivoluzione Messicana.

 

Nel dicembre 1917, Marusya concordò un’alleanza con l’organizzazione bolscevica ad Aleksandrovsk con lo scopo di rovesciare il Soviet locale. I bolscevichi ricevettero un carico segreto di armi, mentre gli anarchici riuscirono ad avere l’appoggio di un reparto dei marinai della Flotta del Mar Nero, comandata da M. V. Mokrousov. Il 12 dicembre 1919, Mokrousov si presentò ad un’assemblea unitaria del Soviet di Aleksandrovsk con i consigli di fabbrica per chiedere la ri-costituzione del Soviet con la presenzadi rappresentanti bolscevichi. I rappresentanti degli altri partiti (menscevichi e socialisti rivoluzionari) abbandonarono l’assemblea ed il nuovo Soviet era fatto.

 

Il 25 e 26 dicembre 1917, Marusya spostò le sue truppe verso Kharkhov per aiutare il Blocco di Sinistra a stabilire il potere sovietico nella città. Le sue truppe si impegnarono in azioni che diventarono il marchio distintivo di Marusya: saccheggio dei negozi e distribuzione dei prodotti agli abitanti. Il 28 e 29 dicembre, le sue Guardie Nere presero parte ai combattimenti contro le haidamaks [bande paramilitari cosacche, ndt] a Ekaterinoslav, riuscendo a insediare con successo il potere sovietico anche in quella città. Secondo la sua versione dei fatti, il suo reparto fu il primo ad entrare in città e lei personalmente disarmò 48 soldati.

 

Il Blocco di Sinistra sciolse lAssemblea Costituente Russa agli inizi del gennaio 1918, rendendo inevitabile la Guerra Civile. Privo di una forte base popolare, specialmente nelle campagne, il Blocco di Sinistra aveva bisogno di alleati e solo gli anarchici dimostravano il medesimo implacabile odio verso la borghesia. Il Blocco di Sinistra cercò in particolare l’aiuto degli anarchici ucraini, dove vi erano diversi gruppi come quelli di Marusya e di Makhno che avevano dimostrato capacità militari.

 

Nel frattempo ad Aleksandrovsk il nuovo regime era sotto minaccia da parte delle truppe del Rada Centrale. Le forze sovietiche non erano così numerose come quelle degli haidamaks (che avevano carri armati). I rivoluzionari decisero di non utilizzare l’artiglieria di Mokrousov al fine di evitare di distruggere la città. Dopo tre giorni di combattimenti di strada, i bolscevichi e gli anarchici furono costretti a ritirarsi. Gli equilibri cambiarono quando giunsero le Guardie Rosse da Mosca e Pietrogrado. Il 2 gennaio 1918, gli haidamaks si ritirarono sulla riva destra del Dnepr e il potere nella città cadde nelle mani del Comitato rivoluzionario di recente formazione (Revkom). Il 4 gennaio Nestor Makhno e suo fratello Savva si presentarono con un reparto forte di 800 Guardie Nere da Gulyai-Pole. Makhno venne invitato a far parte del Revkom ed alla Federazione degli Anarchici venne permesso di nominare due delegati, uno dei quali era Marusya che divenne vice-leader del Revkom.



La minaccia cosacca

 

Gli haidamaks si erano ritirati, ma ora c’era un nuovo pericolo che minacciava la rivoluzione in città. Un convoglio di truppe cosacche a cavallo si stava avvicinando alla città dal fronte esterno lungo la linea del Don per unirsi al movimento contro-rivoluzionario del reazionaio generale Kaledin. Realizzando il pericolo che i Cosacchi potevano portare alla rivoluzione, gli insorti di Aleksandrovsk decisero di fermarli.

 

Gli anarchici portarono i loro reparti attraverso il vicino ponte sospeso di Kichkass sul Dnepr e scavarono trincee lungo la linea ferroviaria. Presto i Cosacchi si fecero vedere. Ci furono contatti telefonici e venne organizzato un incontro tra le due parti. Makhno e Marusya facevano parte della delegazione che era andata in treno al luogo dell’incontro. I Cosacchi si presentarono bellicosi annunciando la presenza di 18 reparti loro e altri 7 degli haidamaks che nessuno avrebbe fermato. I negoziati furono interrotti.

 

Il primo trencosacco che provò a passare venne accolto dall’artiglieria pesante e fece rapidamente marcia indietro, collidendo col treno alle sue spalle e provocando un disastro ferroviario con perdita di vite umane e di cavalli. Ben presto una delegazione di Cosacchi giunse ad Aleksandrovsk per capitolare davanti al Revkom. Consegnarono le armi, ma vollero tenere con sè i cavalli e le selle per motivi “culturali.

 

Il disarmo dei Cosacchi richiese molti giorni ed i politici locali colsero l’occasione per cercare di portarli dalla parte della rivoluzione. In un raduno all’aperto, migliaia di Cosacchi ascoltarono una serie di oratori socialisti, ma con scarsi risultati. Se ne stavano lì intorno a fumare e ogni tanto a deridere gli oratori.

 

Allora Marusya salì sul palco e prese la parola. E i Cosacchi le prestarono ascolto. “Cosacchi, devo dirvi che voi siete i macellai degli operai russi. Continuerete ad essere così in futuro, o riconoscerete la vostra malvagità ed entrerete nelle fila degli oppressi? Fino ad ora non avete dimostrato nessun rispetto per i lavoratori poveri. Per un rublo dello zar o per un bicchiere di vino, li avete inchiodati su una croce.

 

Mentre Marusya continuava a parlare con questo tono, molti

Cosacchi si tolsero il cappello e piegarono il capo. Ben presto alcunidi loro scoppiarono in lacrime come bimbi.

 

Un gruppo di intellettuali di Aleksandrovsk era in mezzo alla folla. E si dissero: “Le parole dei rappresentanti del Blocco di Sinistra appaiono del tutto deboli se comparate con quelle degli anarchici ed, in particolare, con il discorso di M. Nikiforova.” Uno dei risultati di questi raduni, che andarono avanti per giorni, fu che un certo numero di Cosacchi mantenne dei contatti con gli anarchici di Gulyai-Pole dopo che si diressero verso il Kuban e le loro regioni.

 

Completato il disarmo dei Cosacchi, Marusya e Makhno ripresero i loro compiti all’interno del Revkom di Aleksandrovsk. A Makhno era stato assegnato il lavoro “sporco” di presidente di un tribunale che doveva giudicare vari prigionieri politici arrestati dal nuovo ordine politico. Tra questi vi era Mikhno, lex-commissario del Governo Provvisorio che aveva ripetutamente minacciato Makhno ed aveva incarcerato Marusya. Makhno lo fece liberare, dicendo che si trattava di un onest’uomo che aveva solo dovuto eseguire degli ordini.

 

Makhno non fu così magnanimo con un altro prigioniero, l’ex- procuratore generale Maksimov. Quando, molti anni prima, Makhno era stato rinchiuso nelle carceri di Aleksandrovsk, Maksimov aveva disposto che la sua detenzione fosse la più dura possibile. Considerate le prove contro di lui, Makhno si sentì giustificato nel condannarlo a morte. Ma gli altri membri del Revkom, compresa Marusya, intercedettero a suo favore. Sebbene anche loro lo considerassero un contro- rivoluzionario, sapevano che il nuovo regime era troppo fragile per permettersi di condannare a morte un uomo ben visto in città. Makhno non la prese bene e fu solo dopo una notte di riunioni che concordò per rinviare Maksimov ad una ulteriore revisione del suo caso.



 

Makhno si stancò presto del Ravkom  di  Aleksandrovsk (tra le altre cose, non gli avrebbero permesso di far saltare in aria il carcere) e decise di far ritorno a Gulyai-Pole col suo reggimento. Gli altri membri del Revkom andarono alla stazione ferroviaria per salutarlo – la maggior parte in automobile, Marusya a cavallo. In stazione il reggimento intonò l’inno della lotta anarchica e poi partirono.

 

Marusya riuscì a tenere insieme il suo reparto di Guardie Nere ed iniziò a muoversi in modo autonomo come comandante militare. E’ a questo punto che Marusya diventò una protagonista a livello nazionale e non più una figura di livello locale.

 

La Druzhina con licenza di combattimento

 

Poco dopo il ritorno di Makhno a Gulyai-Pole, Marusya propose un’azione unitaria della Federazione di Alexandrovsk con il Gruppo Comunista Anarchico di Gulyai-Pole per procurarsi più armi. L’obiettivo venne individuato in un battaglione di stanza ad Orekhov dove gli anarchici avevano già avuto successo in precedenza. I soldati di questo battaglione, parte del 48° Reggimento Berdyansk, erano equamente divisi fra sostenitori della Rada Centrale ucraina e sostenitori del Generale Kaledin. Anche questa volta l’operazione ebbe successo. Il comandante regionale bolscevico Bogdanov fu estasiato da questo esproprio di armi, tra cui dei mortai. Si pensa che egli desse per scontato che dal momento che Marusya era ancora una deputata del Revkom di Aleksandrovsk, le armi sarebbero finite a lui. Invece tutte le armi finirono a Gulyai-Pole. Questo incidente segnò la fine della lealtà di Marusya verso le autorità del Blocco di Sinistra. D’ora in poi lei iniziò ad agire in modo indipendente.

 

Il comandante delle forze sovietiche in Ucraina era Vladimir Antonov-Ovseyenko, uno dei pochi bolscevichi ad aver frequentato un’accademia militare. Marusya godeva di una considerevole influenza presso di lui, dato che lo aveva aiutato a insediare il potere sovietico in tre importanti città ucraine. Egli l’aveva nominata “comandante di una formazione di reparti di cavalleria nella steppa ucraina” e le aveva assegnato un’importante somma di denaro da usare per equipaggiare la cosiddetta guardia del corpo “Druzhina con licenza di combattimento. Mariusya era diventata la sola donna al comando di una grande forza rivoluzionaria in Ucraina: una atamansha.La Druzhina venne dotata di due pezzi di artiglieria pesante e di un pianale corazzato. Nei vagoni vennero stipati autoblindo, tachankas [piattaforme di artigliera, ndt] e cavalli insieme alle truppe, il che significava che il reparto non era destinato solo ad usare la linea ferroviaria. I treni vennero addobbati con striscioni: “La liberazione dei lavoratori è opera dei lavoratori stessi, “Lunga vita all’anarchia, “il potere nutre i parassiti” e “l’anarchia è la madre dell’ordine.

 

I soldati godevano di un rancio e di un equipaggiamento migliore di quello delle unità dellArmata Rossa. Sebbene non avessero alcuna divisa, i soldati avevano un certo senso dello stile. Capelli lunghi (cosa non comune in quel periodo), berretti di pelle di pecora, giacche di servizio da ufficiali, calzoncini rossi e munizioni alla cintura molto in evidenza. La Druzhina era una guardia del corpo composta da un nucleo di militanti devoti a Marusya e da un gruppo più grande il cui numero cresceva o diminuiva in modo abbastanza casuale. Tra i militanti vi era un discreto gruppo di marinai del Mar Nero, famosi per le loro qualità di combattenti in tutta l’Ucraina.

 

Con le loro bandiere nere ed i cannoni, le truppe di Marusya sembravano navi pirata che solcavano la steppa ucraina. Un testimone oculare, il socialista rivoluzionario di sinistra I. Z. Steinberg, paragonò i treni della Druzhina al vascello Olandese Volante, in grado di comparire in ogni momento, in ogni luogo.

 

Spostandosi a scaglioni, la Druzhina avanzò fino ad incontrare i nemici che, nel gennaio 1918, erano le Guardie Bianche e la Rada Centrale ucraina.

 

Gli anarchici presero parte all’insediamento del potere sovietico in Crimea. La Druzhina ed un altro reparto di anarchici prese la città turistica di Yalta dove saccheggiò il Livadia Palace. Parecchie decine di ufficiali nemici vennero uccisi. Marusya si spostò poi verso Sebastopoli dove c’erano otto anarchici che languivano in carcere. Le autorità bolsceviche liberarono i prigionieri senza attendere l’arrivo della atamansha. Marusya passò un periodo di tempo nella città di Feodosia dove venne eletta nell’esecutivo del Soviet Contadino e dove riuscì ad organizzare altre Guardie Nere.

 

Le battaglie di Elizavetgrad

 

Il 28 gennaio 1918, la Druzhina era alle porte di Elizavetgrad,

un’importante  città  nell’Ucraina  centro-meridionale.  La  sua presenza impose alla locale organizzazione bolscevica di occupare il Soviet della città con un golpe senza spargimento di sangue, estromettendo i socialisti rivoluzionari ucraini ed i Cadetti della locale scuola ufficiali, fondando così il proprio Revkom.

 

Ben presto Marusya si fece prendere da una delle sue classiche reazioni emotive guidate dall’impulsività. Dopo aver sentito numerose lamentele riguardanti il commissario militare locale, il colonnello Vladimirov, lei andò al suo alloggio e gli sparò. Poi organizzò il saccheggio sistematico dei negozi della città, distribuendo i beni ai poveri. Notando che la gente finiva col prendere cose di cui non aveva bisogno, autorizzò il baratto di merci, anche se questo era stato espressamente vietato dal bolscevico Revkom.

 

Successivamente Marusya incontrò il Revkom di cui criticò duramente le attività. Disse loro che si erano dimostrati “tolleranti verso la borghesia. Favorì l’esproprio spietato di tutti i beni acquisiti attraverso lo sfruttamento del lavoro altrui e diede una risposta violenta a qualsiasi tentativo di resistenza. Secondo Marusya, far parte della classe degli sfruttatori era un crimine in sè e, fra questi, Marusya ci metteva anche i membri del Revkom. Minacciò di chiudere il Revkom e di sparare al suo presidente poichè la Druzhina si opponeva a qualsiasi tipo di organo di governo e lei non aveva rovesciato il Soviet precedente solo per farlo sostituire da un altro organo burocratico.

 

L’amministrazione bolscevica della città era molto turbata da questo tipo di discorsi e rispose con tipica modalità burocratica istituendo uno speciale “Comitato per la regolamentazione delle relazioni con Marusya. Questo comitato andò a trovarla nel suo quartiere generale e le chiesero di andare via dalla città, sostenendo che il Revkom disponeva di forze sufficienti. Marusya rimase molto impressionata da questa minaccia, ma se ne andò solo dopo alcuni giorni, non senza essersi prima impossessata delle armi di una locale scuola ufficiali, dopo che il consiglio degli studenti si era schierato con gli haidamaks.

 

Il 9 febbraio 1918, venne siglato un trattato di pace tra la Rada Centrale d’Ucraina e le Potenze Centrali. La Rada Centrale aveva perso territori nei confronti degli eserciti del Blocco di Sinistra ed una delle disposizioni del trattato concedeva alle truppe di Germania ed Austria-Ungheria di portare “ordine” sul suolo ucraino. Così le truppe tedesche ed austro-ungariche invasero l’Ucraina e, sostenute dagli haidamaks della Rada Centrale, procedettero nel respingere e rastrellare le forze rivoluzionarie.

 

Nel frattempo ad Elizavetgrad gli eventi precipitavano tragicamente. La città era sottoposta all’ondata degli orrori della guerra civile. Con le forze tedesche alle porte della città, i bolscevichi in fretta avevano cominciato a evacuare le loro truppe e le loro istituzioni, lasciando un vuoto di potere. Il giorno dopo, fece la sua improvvisa comparsa in città un Revkom di sinistra, un nuovo governo chiamato “Comitato provvisorio della rivoluzione(VKR). I suoi membri erano quelli che provenivano dal precedente soviet che era stato spodestato. I bolscevichi rimasti in città vennero arrestati e imprigionati. Le nuove autorità, rendendosi conto che avrebbero avuto bisogno di una forza militare per proteggerli dalla ritirata delle truppe bolsceviche, reclutarono ufficiali che erano stati in clandestinità e fecero perlustrare il territorio per reperire il personale militare in congedo. Vennero arruolati i contadini nei villaggi vicini e i loro carri requisiti. Vennero date armi a chiunque avesse voglia di combattere contro il Blocco di Sinistra ed i suoi alleati.

 

Inaspettatamente la Druzhina fece ritorno in città. I reparti di Marusya erano in piena efficienza e disponevano di cinque autoblindo. Agli inizi ci furono parecchi giorni di pace tra le nuove autorità cittadine e gli anarchici. La Druzhina occupò la stazione ferroviaria dove si potevano ascoltare di continuo canzoni anarchiche. Ogni giorno gli anarchici mandavano in giro un camion a fare colletta di “contributida parte della borghesia. I prigionieri bolscevichi rimasero in carcere.

 

Poi ci fu una crisi. Ci fu una rapina alla grossa fabbrica Elvorta:

40.000 rubli erano stati rubati dall’ufficio-paghe e gli operai non poterono ricevere il loro salario. Circolarono voci fuori controllo che davano la colpa agli anarchici che volevano vendicarsi sulla città per i bolscevichi ancora chiusi in carcere. Marusya decise di andare di persona in fabbrica per spiegare agli operai la situazione provocata evidentemente da elementi di destra.

 

La sala riunioni era stracolma quando Marusya arrivò (la fabbrica contava su una forza-lavoro di circa 5000 operai). Lasciando la sua scorta all’ingresso, lei entrò nella sala e salì sul palco. Ma non le fu permesso di usare le sue capacità oratorie; c’erano un urlare e bestemmiare continui. Frustrata dal fatto che non la facessero parlare, Marusya tirò fuori le due pistole dalla cintura ed aprì il fuoco al di sopra delle teste dei presenti. Scoppiò il panico. Le porte vennero abbattute e la gente saltava dalle finestre rotte. La scorta di Marusya entrò nella sala e la portò via. Sulla via del ritorno verso la stazione la sua auto venne incendiata e lei rimase leggermente ferita.

 

Le sirene di allarme risuonavano in tutta la città e la milizia del nuovo governo avanzò verso la stazione ferroviaria. Ci furono ore di combattimenti di strada. Ci furono molti feriti dato che gli anarchici si difendevano con mitragliatori e granate. Ma furono più volte sovrastati dagli aggressori e Marusya fu costretta ad operare una difficile ritirata verso la steppa, fermandosi a Kanatovo, la prima stazione ferroviaria lungo la linea. A questo punto Marusya si rese conto che alcuni dei suoi soldati erano stati fatti prigionieri, per cui decise di tornare in città ad impegnare il nemico per liberare i suoi.

 

Infine arrivarono le forze bolsceviche dal fronte sotto il comando di Aleksandr Belenkevich, un ufficiale di alto rango, e pretesero la resa della città. La sua richiesta venne respinta, egli avanzò spavaldamente fino al centro della città dove le sue truppe vennero attaccate da tutti i lati. Dopo tre-quattro ore di scontri, l’unità di Belenkevich era stata quasi spazzata via e molti dei suoi soldati erano stati fatti prigionieri. Lo stesso Belenkevich riuscì a malapena a fuggire in treno. Le autorità cittadine iniziarono ad uccidere alcuni prigioneri. Le loro forze erano ora al comando di due generali in pensione.

 

Marusya avanzò verso la città da nord lungo la linea ferroviaria ma, trovando resistenza nella periferia della città, desistette e si trincerò. Il VKR ora disponeva di migliaia di soldati sotto lo slogan Abbasso lAnarchia!. Avevano sia artiglieria leggera che pesante, mitragliatori e persino tre aerei. Allo scopo di far indignare la popolazione, venne messa in giro la storia che Marusya saccheggiava le chiese portandosi via le icone e venne dipinta come il capo di una banda di ladri.

 

Una guerra di logoramento si svolse appena fuori dalla città su un fronte lungo diversi chilometri. C’erano mitragliatrici automatiche e fuoco di artiglieria. Il proprietario di una distilleria, Makeev, mise a disposizione quantitativi illimitati di alcol per le truppe in difesa. Per rinfoltire i ranghi con altra carne da cannone, fu perlustrata la città a caccia di scansafatiche, che vennero scortati verso il fronte. C’erano due linee di trincee: la linea posteriore era presidiata da ufficiali con mitragliatrici il cui compito era quello di bloccare qualsiasi ritirata.

 

Per due giorni (24-25 febbraio 1918) la battaglia ebbe fasi alterne. Il 26 febbraio Marusya ricevette rinforzi sostanziali da un distaccamento della Guardia Rossa dalla città di Kamensk, mille operai con una batteria leggera e mitragliatrici. Avanzarono per l’attacco insieme alle truppe di Marusya.

 

Le Guardie Rosse non se la cavarono bene nella battaglia. Persero la loro artiglieria e le mitragliatrici che finirono nelle mani delle truppe del VKR e 65 di loro vennero fatti prigionieri. Nel frattempo, l’artiglieria dei difensori aveva il vantaggio della ricognizione fatta dagli aerei, che sganciavano anche bombe. L’attacco anarchico si impantanò molto presto nelle trincee nemiche. Furono costretti a ritirarsi ulteriormente, fino alla stazione di Znamenka. Lì trovarono un nuovo distaccamento sotto il comando del colonnello Muraviev della Sinistra Socialista-Rivoluzionaria, che aveva conquistato Kiev qualche giorno prima togliendola al controllo della Rada centrale per consegnarla al Blocco di sinistra.

 

Le autorità del VKR in città si schierarono con la Rada centrale e inviarono emissari in direzione delle forze tedesche ed ucraine in avvicinamento per chiedere un intervento immediato. Ma era già troppo tardi. Per fermare Marusya a nord della città, il VKR aveva sguarnito il lato sud. Un treno blindato denominato “Libertà o morte” entrò in città sotto il comando del marinaio bolscevico Polypanov. Le unità di guardia in città fuggirono senza dare battaglia. I marinai si rivolsero direttamente alle autorità del VKR e chiesero la liberazione di tutti i prigionieri, tra cui i soldati di Marusya. Il VKR fu costretto ad ubbidire. Le truppe del VKR a nord della città si resero conto che la città era effettivamente nelle mani dei bolscevichi.

 

Marusya e Muravyev ora poterono entrare in città. Ci furono ancora saccheggi e non solo da parte degli anarchici. Ma non ci furono rappresaglie di massa; infatti Polypanov disse in una assemblea pubblica che la battaglia di tre giorni era stato il frutto di un malinteso. I Rossi rimasero al potere in Elizavetgrad fino alla notte del 19 marzo 1918, quando abbandonarono la città. Tre giorni dopo giunse il primo treno tedesco. Le battaglie a Elizavetgrad erano tipiche della guerra civile in Ucraina - incontri disperati tra avversari fanatici, con il classico terzo più potente che si prendeva il bottino. Elizavetgrad era destinata a passare di mano diverse volte prima che i bolscevichi alla fine riuscissero a prendere il sopravvento.

 

La lunga ritirata

 

Il Blocco di sinistra tentò di organizzare la resistenza alle forze tedesche in nome del governo fantoccio che aveva istituito a Kharkov. Fu uno scontro molto impari: stando solo ai numeri, le armate tedesche e i loro alleati contavano da 400.000 a 600.000 soldati contro le forze di sinistra del Blocco di circa 30.000 soldati, tra cui diverse migliaia nei battaglioni anarchici. Tuttavia c’era molto più di una mera resistenza simbolica tanto che per occupare l’Ucraina, le potenze centrali impiegarono la maggior parte della primavera del 1918.

 

La Druzhina si fermò nella città di Berezovka nel sud dell’Ucraina e cercò di estorcere una grossa somma di denaro agli abitanti. La resistenza a Marusya giunse da un avversario improbabile, un distaccamento anarchico rivale guidato da Grigori Kotovsky. Kotovsky era stato un vero bandito prima della rivoluzione, quando comandava una banda specializzata in rapine a mano armata e ricatti. La rivoluzione lo aveva salvato dall’esecuzione. Ma ora insisteva perchè gli abitanti di Berezovka non dessero a Marusya neanche un soldo. Data la sua superiore potenza di fuoco, Marusya fu costretta a fare marcia indietro.

 

La Druzhina ora non usava più i treni e si spostava per il paese come unità di cavalleria. Il distaccamento faceva una buona impressione dato che i cavalli erano stati disposti in base al colore: “Una fila di neri, una fila di bai, e una fila di bianchi - e poi di nuovo, neri, bai e bianchi e, fanalino di coda, c’erano i fisarmonicisti seduti sulle tachankas piene di tappeti e pellicce. Marusya stessa montava un cavallo bianco e molti dei soldati erano vestiti completamente in pelle, mentre altri ancora avevano uniformi da marinaio. Come al solito la Druzhina suscitava l’invidia delle Guardie Rosse che la apostrofavano con epiteti come “matrimonio di cani” o nomi ancora peggiori.

 

Un appuntamento per la ritirata dei distaccamenti rossi era stato stabilito in una vasta tenuta vicino al villaggio di Preobrazhenka. Quando Marusya arrivò, tro in carica un comandante rosso, Ivan Matveyev. Convocata nel suo ufficio, gli disse che era disposta a prendere ordini da lui “fino al momento in cui tutti i distaccamenti fossero arrivati e fosse  chiaro chi avesse il maggior numero di uomini.

 

Tutta la sua preoccupazione, disse a Matveyev, andava alla distribuzione dei beni trovati nella tenuta, a partire dall’abbigliamento. Aveva già effettuato un inventario degli abiti, giacche, gonne appesi nei grandi armadi. “La proprietà dei possidenti, disse, “non appartiene a nessun distaccamento in particolare, ma al popolo nel suo complesso. Lasciate che il popolo prenda quello che vuole.

 

Mateveyev, visibilmente infastidito, si rifiutò  “per principio di

discutere di “stracci. Marusya se ne andò, sbattendo la porta.

 

I bolscevichi decisero di disarmare la Druzhina prima dell’arrivo di altri eventuali anarchici. Convocarono un incontro generale di tutti i distaccamenti in cui intendevano circondare gli anarchici e disarmarli. Si trattava di un grande raduno all’aperto nel centro della tenuta. Marusya vi partecipò con alcuni dei suoi, ma non con tutti i suoi soldati. I bolscevichi iniziarono a parlare della necessità di unità e disciplina. Marusya capì dove volevano andare a parare e quando uno degli oratori iniziò a lamentarsi degli anarchici, ella diede il segnale di andarsene. Quando i bolscevichi alla fine emisero l’ordine di circondare gli anarchici, questi se ne erano già andati dalla tenuta con i loro cavalli e le tachankas.

 

La Druzhina raggiunse una linea ferroviaria e salirono sui treni a scaglioni. Marusya aveva deciso di dirigersi verso la sua città natale, Aleksandrovsk, per cercare di difenderla dagli invasori tedeschi. La città era piena di distaccamenti della Guardia Rossa in ritirata. Dal momento che Marusya se ne era andata poche settimane prima, i rapporti tra la Federazione Anarchica e i bolscevichi non erano buoni. Tuttavia i bolscevichi erano felici di vedere Marusya grazie alla sua reputazione di guerriera.

 

Il 13 aprile 1918, unità ucraine dei Sich Fucilieri (corpo volontario su base etnica, ndt) fecero irruzione nella città e presero la stazione ferroviaria. In un magazzino vicino, venne trovato il cadavere di una giovane donna, vestita di pelle. Una voce subito si diffuse per la città: che la famosa Marusya era stata uccisa. Invece Marusya aveva preso parte alla battaglia, ma era viva e vegeta. Il giorno dopo i fucilieri furono cacciati dalla città e costretti a fuggire lungo il Dnepr in barca.

 

Il 18 aprile, alla fine, i Tedeschi entrarono in Alexandrovsk. La

Druzhina fu l’ultimo reparto militare a lasciare la città al suo destino.

 

Dirigendosi ad est, la Druzhina si fermò alla stazione di Tsarekonstantinovka dove Marusya incontrò uno sconsolato Nestor Makhno. Un colpo di stato militare nazionalista a Gulyai-Pole aveva appena portato all’arresto del Revkom locale e del Soviet mentre Makhno era assente. Marusya propose una missione di salvataggio, ma sapeva che non poteva compierla da sola. Aveva già telegrafato al marinaio Polypanov, che rifiutò di darle il suo aiuto, così come fece il marinaio Stepanov che stava passando anche attraverso la stazione con un treno pieno di profughi. Infine mise insieme un distaccamento della Guardia Rossa siberiana guidata da Petrenko. Marusya disponeva  ancora di un paio di carri armati, che si proponeva di utilizzare come punta di diamante per l’attacco (Gulyai-Pole era a otto chilometri dalla stazione ferroviaria più vicina). Proprio in quel momento Marusya ricevette la notizia che i tedeschi avevano occupato Pologi, proprio sulla linea che avrebbe dovuto usare per arrivare a Gulyai-Pole. Dovette abbandonare il suo piano e spostarsi più a est.

 

Il processo di Taganrog

 

I distaccamenti bolscevichi e anarchici in Ucraina orientale si diressero tutti a Taganrog sul mare di Azov, sede del governo sovietico ucraino fuggitivo. I bolscevichi non avevano più speranze di reinsediarsi in qualsiasi parte del paese e, per quanto li riguardava, le truppe anarchiche non erano più necessarie. Infatti, gli anarchici, con la loro costante contestazione della politica del partito-stato, rappresentavano una scomoda tendenza ideologica.

 

Le autorità di Mosca avevano già provveduto a sbarazzarsi dei loro fastidiosi alleati. Il 12 aprile 1918, la Federazione dei gruppi anarchici di Mosca era stata soppressa e quasi 400 persone arrestate. I bolscevichi avevano propagandato questo evento come un’azione di polizia contro elementi criminali, piuttosto che come l’eliminazione di un competitore politico. Gli anarchici in Russia erano troppo deboli per contrastare questa azione, ma in Ucraina

era tutta un’altra storia.

 

Giunta a Taganrog, Marusya si ritro accusata di aver abbandonato il Fronte (contro i tedeschi) senza permesso. Il compito di arrestare lei e disarmare la Druzhina toccò all’unità della Guardia Rossa comandata da Kaskin. Marusya venne arrestata presso la sede del Comitato esecutivo centrale dell’Ucraina. Mentre veniva scortata dal palazzo, incontrò il noto bolscevico V. Zatonsky. Lei gli chiese perché era stata arrestata. Quando Zatonsky le rispose: “Non ne ho idea,” Marusya gli sputò e lo definì un “bugiardo ipocrita.

 

Il disarmo della Druzhina non avvenne senza intoppi. Le truppe si rifiutarono di trasferirsi nella brigata di Kaskin e volevano sapere dove si trovava Marusya. La Federazione Anarchica di Taganrog ed il continuo arrivo di distaccamenti anarchici ponevano ai bolscevichi la questione di giustificare le loro azioni. Anche i socialisti rivoluzionari di sinistra locali supportarono gli anarchici.

 

Contattatdaglanarchiciil    bolscevico    comandante-in- capo Antonov Ovseyenko inviò un telegramma di sostegno: “Il distaccamento di Maria Nikiforova, e la stessa compagna Nikiforova mi sono ben noti, e invece di sopprimere tali formazioni rivoluzionarie dovremmo crearle.Telegrammi di sostegno giunsero anche da diversi altri comandanti della Guardia Rossa. E a Taganrog arrivò un treno blindato sotto il comando dell’anarchico Garin, amico personale di Marusya.

 

L’accusa principale dei bolscevichi contro Marusya era il saccheggio di Elizavetgrad sia prima che dopo la rivolta dei nazionalisti in città. L’altra accusa principale era di aver abbandonando il Fronte, anche se le truppe di Kaskin avevano lasciato il Fronte prima di Marusya. Gli anarchici erano indignati per l’ipocrisia dei bolscevichi che avevano utilizzato la forza degli anarchici in prima linea nella guerra civile, mentre li accoltellavano alla schiena nelle retrovie.

 

Un “giurì d’onore rivoluzionario” si tenne a fine aprile 1918. Il giurì era composto da due bolscevichi locali, due socialisti rivoluzionari di sinistra locali, e due rappresentanti del governo del Blocco di sinistra dell’Ucraina. I bolscevichi presentarono una serie di testimoni che accusarono Marusya di reati punibili con la morte. Ma c’erano anche molti testimoni della difesa nell’aula gremita, persone che contestarono le dichiarazioni dei testimoni dell’accusa e che parlarono dei servizi resi da Marusya alla Rivoluzione. L’anarchico Garin aveva notato che Marusya aveva fiducia nella giustizia del tribunale rivoluzionario e aggiunse: “Se solo pensassi che lei non avesse questa fiducia, il mio distaccamento la libererebbe con la forza.

 

In definitiva Marusya venne assolta da tutte le accuse e alla Druzhina furono restituite le armi. Marusya e Makhno (presente anche lui a Taganrog) organizzarono una serie di conferenze nel teatro locale e in vari luoghi di lavoro sul tema: “La difesa della rivoluzione - contro l’esercito austro-tedesco al fronte - contro le autorità governative nelle retrovie. I due pubblicarono anche un opuscolo su questo argomento.

 

Marusya e Makhno poi si separarono. Makhno ed altri rifugiati provenienti da Gulyai-Pole decisero di tornare a casa e portare avanti una lotta clandestina contro i tedeschi e la Rada centrale. Alcuni dei soldati di Gulyai-Pole aderirono alla Druzhina. La pressione tedesca presto costrinse i bolscevichi e gli anarchici a ritirarsi a Rostov- sul-Don. Gli anarchici avevano raccolto documenti preziosi nelle banche locali - atti, contratti di finanziamento e obbligazioni - e li bruciarono in un falò nella piazza principale. (Alcuni cinici ebbero a notare che la carta moneta era stata risparmiata.)

 

Un testimone oculare descrisse gli uomini di Marusya: “Sembravano spagnoli con i capelli lunghi e mantelli neri ... Un paio di grandi pistole alla cintura, portavano in tasca delle granate. I più giovani indossavano i pantaloni a zampa di elefante e.. braccialetti d’oro

... “.

 

Finalmente l’avanzata tedesca si era fermata e la lunga ritirata poteva finire. Ma ora i bolscevichi avevano raggiunto territori dove potevano contare sulla superiorità numerica e potevano disarmare in sicurezza gli anarchici. Marusya aveva capito cosa stava per succedere ed evitò la trappola. La Druzhina compì un viaggio pericoloso verso nord attraverso la regione del Don, viaggiando lungo una linea ferroviaria parzialmente controllata da Bianchi Cosacchi, per raggiungere la città russa di Voronezh, dove si stava formando un nuovo fronte.

 

E’ difficile ricostruire i movimenti di Marusya nei mesi successivi.La Druzhina passò per diverse città russe al confine con l’Ucraina. Finchè i Tedeschi occupavano l’Ucraina, era impossibile per Marusya compiere azioni alla luce del sole nel suo paese.

 

Giudicando la Rada centrale troppo radicale per i loro gusti, gli imperialisti tedeschi la sostituirono con un governo fantoccio guidato dall’atamano Skoropadsky. Ma nel mese di novembre 1918, i tedeschi persero la guerra mondiale. Come previsto dall’armistizio erano tenuti ad evacuare l’Ucraina. Il governo di Skoropadsky rapidamente crollò e venne sostituito dal Direttorio, un gruppo nazionalista più radicale il cui leader era Simon Petliura. L’Ucraina era ormai vulnerabile ad un’altra invasione bolscevica nonché ad avventurieri come Marusya e contadini insorti come i makhnovisti.

 

Nell’autunno del 1918, la Druzhina prese parte alla battaglia di una forza mista che assediò Odessa occupata dai Bianchi che si erano impadroniti della città, nel vuoto di potere causato dal ritiro dei Tedeschi. Marusya diede fuoco alla prigione di Odessa. Questa occupazione di Odessa fu di breve durata; i Bianchi, con il sostegno delle truppe alleate (francesi e greche) ne ripresero presto di nuovo il controllo.

 

Il processo di Mosca

 

Marusya si spostò nella città russa di Saratov, dimora temporanea per molti rifugiati anarchici dall’Ucraina. Qui venne arrestata per ordine del Soviet locale e la Druzhina venne disarmata. Durante il Terrore Rosso che infuriava in quel momento (in seguito al tentato assassinio di Lenin da parte di un socialista rivoluzionario), Marusya avrebbe potuto anche essere uccisa senza processo. A quanto pare i cekisti [membri della Ceka, polizia politica sovietica, ndt] locali erano riluttanti a uccidere un’ “eroina della rivoluzione, che pare avesse conosciuto Lenin a Parigi prima della Rivoluzione.

 

Marusya venne trasferita a Mosca e rinchiusa nella prigione di Butyrki (dove Makhno aveva trascorso molti anni). Ma presto ne uscì sotto cauzione a dimostrazione che aveva ancora amici in alto loco. L’anarchico Karelin ed il bolscevico Antonov-Ovseyenko erano disposti a garantire per lei. Anche suo marito, l’anarchico polacco Bzhostek, si trovava a Mosca. Come molti ex-residenti dell’impero russo con credenziali rivoluzionarie, gli era stato dato un lavoro importante nella nuova amministrazione. In attesa del processo,Marusya ebbe la possibilità di iscriversi al Proletcult, un movimento ufficialmente riconosciuto che incoraggiava i lavoratori a sviluppare il proprio talento artistico.

 

Marusya venne processata a Mosca il 21-23 gennaio 1919 da un tribunale “d’onore rivoluzionario. I bolscevichi, sotto la pressione del loro governo fantoccio ucraino, reiterarono le accuse per cui lei era già stata assolta a Taganrog. Il governo bolscevico ucraino aveva istituito una commissione speciale per indagare sui suoi “crimini. Secondo il presidente di questa commissione, Yuri Piatakov, la Druzhina aveva “smobilitato la difesa contro i Tedeschi e le Guardie Bianche” mentre la stessa Marusya “con la scusa della difesa del proletariato si era data al saccheggio. Per cui ella era semplicemente una bandita che operava sotto la bandiera del potere sovietico “.

 

Secondo l’accusa, “M. Nikiforova senza il consenso dei Soviet locali aveva ordinato in molte città requisizioni nei magazzini della marina, in negozi privati e società; aveva imposto ai proprietari terrieri consistenti contributi di denaro. Si era impadronita di pistole e altre armi abbandonate dagli haidamaks. Quando i soviet le avevano espresso le loro rimostranze, lei li aveva minacciati, circondando le sedi dei soviet con le mitragliatrici e arrestando i membri dei comitati esecutivi. La sua brigata aveva ucciso un comandante delle truppe e lei stessa aveva condannato a morte, per non aver eseguito i suoi ordini, il presidente del soviet di Elizavetgrad insieme ad altri.

 

Il suo vecchio amico Karelin testimoniò come testimone etico a favore, descrivendola come persona disinteressata: “.. Tutto quello che aveva lo dava anche a compagni che conosceva a malapena. Non avrebbe tenuto un soldo per . Donava tutto ....Karelin aggiunse che lei era completamente astemia.

 

Il verdetto venne reso pubblico sulla Pravda il 25 gennaio 1919. Marusya venne dichiarata colpevole di aver screditato il potere sovietico con le sue azioni e con quelle della sua brigata in diversi casi e di insubordinazione rispetto ai soviet locali nella sfera delle attività militari.Venne assolta dall’accusa di saccheggio e di requisizioni illegali.

 

Marusya avrebbe potuto facilmente essere fucilata per i crimini per cui era stata condannata. Tuttavia, il tribunale la condannò “alla privazione del diritto di occupare posti di responsabilità per sei mesi a partire dalla data della sentenza.” Il tribunale precisò che aveva tenuto in considerazione i servizi di Marusya nella lotta per il potere sovietico e nelle operazioni contro i Tedeschi.

 

Il ritorno a Gulyai-Pole

 

Anche se la sentenza era stata mite, per Marusya era un peso. Sei mesi erano un lungo periodo di tempo in condizioni di guerra civile. Così quasi subito si diresse verso Gulyai-Pole dove Makhno aveva costituito una enclave anarchica scacciando i Bianchi ed i nazionalisti. Makhno aveva concluso un accordo con i bolscevichi in data 19 febbraio 1919, che gli dava la libertà di costruire una società anarchica. I piani a breve termine di Makhno non prevedevano uno scontro con i bolscevichi. Quindi non fu particolarmente felice quando Marusya si presentò da lui, conoscendo le sue cattive relazioni con i bolscevichi. Makhno le chiarì che egli aveva intenzione di rispettare le condizioni della sua sentenza. Le chiese di dare il suo contributo occupandosi di asili, scuole, ospedali, piuttosto che di questioni militari.

 

Uno spiacevole incidente si verificò al 2 ° Congresso dei Soviet di Gulyai-Pole nella primavera del 1919. Marusya, pur non essendo una delegata, chiese la parola. Quando iniziò ad attaccare i bolscevichi, i contadini ne rimasero sconvolti. In quella fase erano più preoccupati per i Bianchi, mentre i bolscevichi erano loro alleati. Makhno, sempre un po’ demagogo quando si trattava di contadini, la trascinò fisicamente giù dal podio.

 

Nonostante le loro pubbliche divergenze, Marusya e Makhno continuarono a lavorare insieme. Marusya fece dei viaggi a Aleksandrovsk, nominalmente sotto il controllo bolscevico, città che Makhno sperava di includere nella sua sfera di influenza. I bolscevichi reagirono arrestando gli anarchici che lei ebbe a incontrare, anche se non era ufficialmente considerata come una nemica del potere sovietico.

 

Nella primavera del 1919, Gulyai-Pole ricevette l’ispezione di diversi dirigenti bolscevichi di alto livello, tra cui Antonov-Ovseyenko, Lev Kamenev, e Kliment Voroshilov. In queste occasioni, Marusya cercò di ingraziarsi Kamenev e i suoi visitatori e fece pressioni per ridurre a tre mesi la condanna inflittale dal tribunale di Mosca. A quanto pare ebbe successo. Queste visite da parte dei dirigenti bolscevichi avevano uno scopo sinistro: stavano cercando di capire quando smettere di usare i makhnovisti come carne da cannone contro i Bianchi per procedere poi alla loro liquidazione. I bolscevichi avevano già soppresso le organizzazioni anarchiche nelle città ucraine sotto il loro controllo. Agli anarchici era stato proibito di tenere riunioni o conferenze, le loro tipografie erano state chiuse e venivano arrestati con qualsiasi pretesto. Ciò aveva portato a un afflusso di anarchici dalle altre città ucraine a Gulyai-Pole e nei territori controllati dai makhnovisti.

 

Il ritorno alla clandestinità ed al terrorismo

 

Dopo che la sentenza le era stata ridotta, nel maggio 1919 Marusya si recò nel porto di Berdyansk sul Mar dAzov, dove organizzò una nuova brigata utilizzando militanti fidati del contro-spionaggio di Makhno e rifugiati anarchici dalle città. Tra i membri di questo gruppo c’era suo marito Bzhostek. Era venuto in Ucraina non per sua moglie, ma per reclutare terroristi esperti per un gruppo clandestino a Mosca.

 

Ai primi di giugno Makhno e il suo staff militare vennero dichiarati fuorilegge da parte dello Stato sovietico. Fu un periodo incredibilmente duro per gli anarchici ucraini. Mentre stavano combattendo una battaglia persa contro i Bianchi a est, venivano ora attaccati alle spalle dai bolscevichi. Makhno reagì cercando di recuperare un po’ di agibilità militare. Marusya aveva altri piani.

 

Non essendo più in grado di mettere in campo una forza militare regolare, Marusya aveva deciso di lanciare una guerra clandestina contro i suoi nemici. Ma prima aveva bisogno di soldi. Avendo saputo della condizione di fuorilegge di Makhno, lei ed i suoi lo raggiunsero nella stazione di Bolshoi Tokmak. Incontrò Makhno nel suo vagone ferroviario, gli chiese soldi per le sue attività terroristiche. Makhno imprecò e tirò fuori un revolver. Ma era troppo lento - Marusya aveva già tirato fuori la sua pistola. Dopo un’aspra discussione, Makhno le diede 250.000 rubli dalle sue casse e le disse di non farsi più vedere.

 

Marusya divise il suo gruppo in tre sezioni di circa 20 uomini ognuno. Un gruppo comandato da Cherniak e Gromov venne inviato in Siberia per far saltare in aria il quartier generale di Kolchak, il dittatore dei Bianchi. Giunsero in Siberia ma non riuscirono a eliminare Kolchak e finirono per aderire al movimento partigiano contro i Bianchi.

 

Il secondo gruppo, comandato da Kovalevich e Sobolev venne mandato a nord per liberare i makhnovisti prigionieri e far saltare in aria il quartier generale della Ceka [famigerata polizia politica bolscevica fino al 1922, poi GPU fino al 1934, poi NKVD fino al

1954, poi KGB fino al 1991, ed oggi FSB, ndt]. Ma i prigionieri erano già stati uccisi ed i cekisti avevano abbandonato la città. Così il gruppo si spostò a Mosca per organizzare un attentato terroristico contro la dirigenza bolscevica. Per preparare e finanziare l’attentato compirono rapine a mano armata a Mosca e nelle città circostanti. Il 25 settembre 1919, fecero esplodere una bomba durante una riunione del Comitato di Mosca del partito bolscevico, uccidendo

12 persone e ferendo 55 membri di primo piano del partito. Nella caccia all’uomo che ne seguì, il gruppo venne spazzato via. Dopo che Kovalevich e Sobolev erano stati uccisi durante scontri a fuoco, il resto del gruppo si era rintanato in una dacia dove scelse di farsi saltare in aria insieme a un certo numero di cekisti.

 

Il terzo gruppo, comprendente Marusya e Bzhostek, si diresse in Crimea, allora sotto il controllo dei Bianchi, con l’intenzione di far saltare in aria il quartier generale di Denikin, generale e capo delle armate dei Bianchi nella Russia meridionale. In quel momento, il quartier generale di Denikin si trovava a Rostov-sul-Don, ma Marusya potrebbe aver cercato aiuto finanzario o altro, presso gli anarchici di Crimea.

 

L’ultimo processo

 

Gli ultimi giorni di Marusya sono stati a lungo oggetto di varie leggende, derivanti dal fatto che gli eventi nella Crimea in mano ai Bianchi erano alquanto sconosciuti ai rivoluzionari. I makhnovisti Chudnov e Belash riferiscono versioni contrastanti, come ha fatto anche Antonov-Ovseyenko. Solo negli ultimi anni sono venuti alla luce documenti che hanno chiarito il mistero.

 

L’11 agosto 1919, Marusya venne riconosciuta per strada a Sebastopoli ed arrestata insieme a suo marito dai Bianchi. Il gruppo di Marusya, disperando di riuscire a salvarla, si diresse verso la regione del Kuban, dove prese parte ad attività partigiane contro le retrovie dei Bianchi. L’arresto di Marusya fu un grande colpo per il contro-spionaggio dei Bianchi che impiegò un mese a raccogliere le prove necessarie per processarla (cosa difficile in condizioni di guerra civile). Il suo processo, in realtà una sorta di corte marziale, si tenne il 16 settembre 1919, con alla presidenza il generale Subbotin, comandante della fortezza di Sebastopoli. L’atto d’accusa diceva:

 

I. che la persona che si fa chiamare Maria Grigor’evna Bzhostek, nota anche come Marusya Nikiforova, deve rispondere delle seguenti accuse: che durante il periodo 1918-1919, mentre era al comando di un distaccamento di comunisti anarchici, aveva aperto il fuoco su ufficiali e pacifici abitanti, e che aveva scatenato sanguinose e spietate rappresaglie contro la borghesia ed i contro-rivoluzionari.

 

Nello specifico:

 

nel 1918 tra le stazioni di Pereyezdna e Leshchiska aveva dato l’ordine di fucilare parecchi ufficiali ed, in particolare, l’ufficiale Grigorenko;

 

nel novembre 1918 aveva fatto irruzione nella città di Rostov- sul-Don con un distaccamento di anarchici, incitando la folla a effettuare sanguinose rappresaglie contro la borghesia ed i contro- rivoluzionari;

 

nel dicembre 1918, al comando di un distaccamento in armi, aveva partecipato insieme alle truppe di Petliura alla presa di Odessa, dopo di che aveva partecipato all’incendio del carcere di Odessa, dove trovò la morte tra le fiamme il capo delle guardie carcerarie, Pereleshin;

 

nel giugno 1919 nella città di Melitopol’ 26 persone, tra cui un certo

Timofei Rozhkov, erarno state fucilate dietro suo ordine.

 

Queste le accuse, sulla base dei crimini previsti dagli articoli 108 e

109 del codice penale dell’Esercito Volontario.

 

II. Vitol’d Stanislav Bzhostek è accusato, non di aver preso parte a quanto sopra enunciato nella Parte I, ma di esserne al corrente e di aver protetto M. Nikiforova dall’azione delle autorità.

 

Entrambi furono dichiarati colpevoli e condannati a morte. Come implicito nelle accuse contenute nella Parte II, V. Bzhostek venne condannato per il “crimine” di essere il marito di Marusya.

 

Secondo i giornalisti presenti al processo, Marusya tenne un

atteggiamento di sfida nel corso del procedimento e giurò davanti alla corte solo dopo che la sentenza era stata letta. Ebbe un attimo di cedimento solo quando disse addio al marito. Vennero entrambi fucilati.

 

Il giornale Aleksandrovsk Telegraph” (la città era in quel momento in territorio dei Bianchi) lanciò entusiasta così la notizia della sua morte il 20 settembre: “Un altro pilastro dell’anarchismo è stato spezzato, un altro idolo della nera anarchia è stato tirato giù dal suo piedistallo ....La leggenda circonda questa ‘zarina dell’anarchismo. Più volte è stata ferita, più volte la sua testa è stata tagliata, ma, come la leggendaria Idra, ne aveva sempre una nuova. Lei sopravviveva ed era, di nuovo, pronta a versare più sangue .... e se ora nella nostra provincia gli eredi della Makhnovshchina, gli avanzi di questo male velenoso, stanno ancora cercando di impedire la rinascita di una società normale e si stanno sforzando di ricostruire ancora una volta il governo sanguinario di Makhno, quest’ultimo colpo significa che stiamo assistendo al banchetto funebre sulla tomba della Makhnovshchina.

 

Due settimane dopo la pubblicazione di questo articolo, l’Esercito Insorgente Makhnovista cacciava i Bianchi da Aleksandrovsk e prendeva la città.

 

La leggenda continua

 

Dato che Marusya era sfuggita alla morte più di una volta, la gente faceva fatica a credere che fosse veramente morta. Questo scetticismo creò le premesse perchè apparissero false Marusya. Ci furono almeno altre tre atamansha attive durante la Guerra Civile e pare che esse facessero uso del terrore evocato dal nome di Marusya:

 

(1) Marusya Chernaya comandò un reggimento di cavalleria nell’Esercito Insorgente Makhnovista tra il 1920 ed il 1921. Morì in battaglia contro i Rossi.

 

(2) Marusya Sokolovskaia, una maestra nazionalista ucraina di 25 anni, prese il comando di un distaccamento di cavalleria dopo la morte del fratello in battaglia. Venne catturata dai Rossi e fucilata.

 

(3) Marusya Kosova fu una atamansha nel corso della rivolta contadina di Tambov nel 1921-1922. Dopo la repressione della rivolta, non si è saputo più nulla di lei. Un’altra leggenda parla di Marusya quale agente segreto sovietico.

 

Secondo questa storia, lei venne mandata a Parigi in incognito per partecipare all’assassinio del capo nazionalista ucraino Simon Petliura. Petliura venne ucciso da un ex-membro del distaccamento anarchico di Kotovsky. La sola verità in questa storia potrebbe essere solo il fatto che gli anarchici si ritrovavano a lavorare per i boscevichi.

 

Maria Nikiforova rappresenta il lato distruttivo dell’anarchismo, spazzare via il vecchio per costruire il nuovo. Lei, però, non era insensibile verso l’altro lato dell’anarchismo, quello edificatore (vedi appendice), ma non ha mai goduto della tranquillità necessaria per portare avanti un lavoro costruttivo. Anche se lei non ebbe influenza sul corso finale della rivoluzione russa, avrebbe potuto anche averla, dato che era sempre pronta ad agire in nome dei suoi principi nei momenti chiave. Usò il suo notevole talento per combattere legioni di nemici, ma alla fine ha dovuto soccombere ad una lotta impari. Le due fotografie di Marusya sono state probabilmente fatte a Elizavetgrad nel 1918. Sul retro di una c’è scritto: “Non pensate male di me. – M. Nikiforova.





Appendice

 

Nel dicembre 1918, Marusya partecipò al primo Congresso di tutti i comunisti anarchici russi a Mosca. Quello che segue è il suo breve intervento che è stato riportato nel verbale:

 

Guardando al modo in cui gli anarchici vivono la loro vita, mi sento depressa per quante carenze vedo nel loro lavoro. Qual è la causa di tutto questo? Una mancanza di talento? Ma che non può essere perché non si può dire che non ci sia talento tra gli anarchici. Ma perché poi le organizzazioni anarchiche sono al collasso? Perché, quando gli anarchici hanno seguito la loro coscienza, non hanno ottenuto i risultati che speravamo? Tutto questo non può continuare, gli anarchici devono capire dove sbagliano.

 

Nell’approcciarsi al loro lavoro, gli anarchici non devono limitarsi alle imprese grandiose. Qualsiasi tipo di lavoro è utile. Sacrificare se stessi è più facile che lavorare costantemente, fermamente, per il raggiungimento degli obiettivi definiti. Tale lavoro richiede una grande capacità di resistenza e un sacco di energia. Gli anarchici non hanno abbastanza capacità di resistenza e di energia e inoltre, devono essere pronti a sottoporsi - da compagni - alla disciplina e all’ordine.

 

Gli anarchici devono:

 

1. essere modelli di comportamento (gli anarchici attualmente non sono uniti);

2. distribuire ampiamente la loro stampa;

3. organizzarsi e stare in contatto l’uno con l’altro. Per far questo è necessario avere un registro di tutti gli anarchici, ma abbiamo bisogno di essere selettivi e favorire non tanto quelli che sanno di teoria quanto quelli che possono metterla in pratica.

 

Il processo della rivoluzione sociale è in corso e gli anarchici devono essere pronti per quel momento in cui dovranno usare tutte le loro forze e ciascuno portare avanti il suo proprio compito, senza sperare di ricevere qualcosa in cambio.

 

Ma il nostro lavoro si deve basare sulla esemplarità, per esempio nella stessa Mosca dovremmo creare una intera rete di orti su basi comuniste. Questo sarebbe il miglior mezzo di agitazione tra la gente, tra persone che, in sostanza, sono anarchici naturali.

 

Malcom Archibald (http://www.malcolmarchibald.com/)

Bibliografia

Fonti Primarie

Anarkhisti: Dokumenti i Materiali: Vol. 1 (1883-1917), Vol. 2 (1917-1935)

(Mosca 1999)

 

Belash, A.V.; Belash, V.F., Dorogi Nestora Makhno (Kiev, 1993) [I sentieri di Nestor Makhno]

 

Makhno, N., The Russian Revolution in Ukraine (March 1917-April 1918)

(Edmonton, 2007) [Volume I delle memorie di Makhno]

 

Makhno, N., Pod Udarami Kontrrevoliutzii (aprel’- Iun 1918) (Paris, 1936) [Vol. II delle memorie di Makhno: Sotto i colpi della controrivoluzione (aprile-giugno 1918)]

 

Nestor Makhno: krest’ianskoe dvizhenie n Ukraine. 1918-1921: Dokumenty i materiali (Mosca, 2006) [Nestor Makhno: il Movimento Contadino in Ucraina, 1918-1921]

 

Fonti Secondarie

 

Chop, V., Marusya Nikiforova (Zaporizhzhia, 1998)

 

Emakov, V.D., Marusya: Portret Anarkhistki, Stzial’nie Issledovanniia No.

3 (1991)

 

Emakov, V.D., Anarkhistkoye Dvizheniye v Rossii, Istoria i Sovremennost

(San Pietroburgo, 1997) [Il Movimento Anarchico in Russia: ieri ed oggi]

 

Gody Borby: Istoriko-Revoliutzonnii Cbornik (Zinov’iesk  1927) [Anni di lotta: un’antologia storico-rivoluzionaria]

 

Kotliar, Iu.V., Povstanstvo: Celians’kyi rukh na Pivdni Ukrainy (1917-1925)

(Odess, 2003) [Ribellione: il Movimento Contadino nell’Ucraina meridionale

1917-1925]

 

Savchenko, V., Avantiuristy Grazhdanskoi Voiny (Mosca 2000) [Avventurieri nella Guerra Civile]

 

Savchenko, V., Atamany Kazach’evo Voiska (Mosca 2006) [Atamani delle truppe cosacche]

 

Savchenko, V., Makhno (Kharkhov, 2005)

 

Volkovins’kii, V.M., Nestor Makhno: Legendi ta Real’nist (Kiev 1994) Fiction

Iu. Ianovoski, Baigorod (Kiev 1927)


Sulla questione della difesa della Rivoluzione*

 

Nestor Makhno

 

Nel quadro del dibattito che ha avuto luogo tra i compagni di molti paesi sulla Bozza di Piattaforma dell’Unione Generale degli Anarchici, pubblicata dal Gruppo degli Anarchici Russi all’Estero, mi viene chiesto da più parti di dedicare un paio di articoli alla questione della difesa della rivoluzione.

 

Cercherò di trattare questa gravosa questione con la massima attenzione, ma anzitutto considero mio dovere precisare ai compagni che la questione della difesa della rivoluzione non è il punto centrale della Bozza di Piattaforma dell’Unione Generale degli Anarchici... E visto che la questione non è fondamentale, non sento nè un bisogno pressante nè la necessità di dedicarvi tempo ed energie, discutendola come fanno molti nostri compagni.

 

Per me personalmente (e direi per ogni compagno serio), quello che importa  è l’aspetto fondamentale della “Bozza di Piattaforma dell’Unione Generale degli Anarchici. Ecorretta, e indica la necessità di studiarla attentamente nei nostri circoli comunisti anarchici. Quel che manca deve essere aggiunto, e in base al risultante documento, dobbiamo ricompattarci, introducendo una organizzazione più completa delle nostre forze. Altrimenti, il nostro movimento sarà condannato a cadere definitivamente sotto l’influenza degli opportunisti e dei liberali che navigano nel nostro ambiente, o peggio, degli speculatori e di ogni sorta di avventuriero politico, capaci, quando ci va bene, di chiacchierare a lungo ma incapaci di lottare sul territorio per la realizzazione dei grandi obiettivi del nostro movimento. Ciò può succedere solo portando con noi tutti coloro che credono istintivamente nel nostro movimento e che aspirano a conquistare tramite la rivoluzione la libertà e l’indipendenza più complete al fine di costruire una nuova società, una nuova giustizia, un nuovo ordine, dove ogni individuo potrà finalmente affermare senza impedimento la propria volontà creatrice per il bene di se stesso e dei suoi uguali.

 

In quanto alla questione della difesa della rivoluzione in generale, mi appoggerò sulla lunga esperienza che ho vissuto in prima persona durante la rivoluzione russa in Ucraina, nel cuore della lotta impari ma decisiva portata avanti dal movimento rivoluzionario dei


lavoratori ucraini. Tale esperienza mi ha insegnato, per prima cosa, che la difesa della rivoluzione è legata direttamente all’offensiva rivoluzionaria contro la controrivoluzione. Secondo, che la crescita e lo sviluppo delle forze per la difesa della rivoluzione sono sempre condizionati dalla resistenza dei controrivoluzionari. Terzo, ciò che discende da quanto appena detto: che le azioni rivoluzionarie dipendono intimamente nella maggior parte dei casi dal contenuto politico, dalle strutture e dai metodi organizzativi impiegati dai distaccamenti armati rivoluzionari, che devono affrontare su un grande fronte gli eserciti convenzionali controrivoluzionari.

 

Nella lotta contro la controrivoluzione, la rivoluzione russa cominciò sin dall’inizio ad organizzare, sotto la direzione dei bolscevichi, dei distaccamenti di guardie rosse. Si è visto molto rapidamente che le guardie rosse non sopportavano la pressione della controrivoluzione organizzata, nella fattispecie dei corpi di spedizione tedeschi, austriaci ed ungheresi, per il semplice motivo che operavano per la maggior parte del tempo senza alcun orientamento operativo generale. Ecco perchè i bolscevichi fecero ricorso all’organizzazione dellArmata Rossa nella primavera del 1918.

 

Era quello il momento in cui noi lanciammo la parola d’ordine dellorganizzazione dei “battaglioni liberi dei lavoratori ucraini. Si vide presto che l’organizzazione dei “battaglioni liberinella primavera del 1918 era impotente nel disfarsi delle provocazioni interne di ogni sorta, dal momento che integrava senza alcuna verifica adeguata, politica o sociale, tutti i volontari che desideravano solo impugnare le armi e combattere. E’ così che le unità armate create da questa organizzazione furono perfidamente consegnate ai controrivoluzionari. E ciò impediva ad essa di adempiere fino in fondo il suo ruolo storico nella lotta contro la controrivoluzione tedesca, austriaca ed ungherese.

 

Tuttavia, dopo quel primo intoppo dell’organizzazione dei “battaglioni liberi” - che si potrebbero descrivere come unità combattenti rivoluzionarie per la difesa immediata della rivoluzione

- non perdemmo la testa. L’organizzazione dei “battaglioni liberi” fu in qualche modo modificata nella sua forma. I battaglioni furono completati dagli ausiliari o distaccamenti partigiani di tipo misto, cioè comprendente cavalleria e fanteria, il cui compito era di agire ben dietro il nemico. L’efficacia di questa organizzazione,


lo ripeterò, ebbe la prova del fatto nelle azioni contro i corpi di spedizione tedeschi, austriaci ed ungheresi e le bande dello hetman Skoropadsky, durante la fine dell’estate e l’autunno del 1918.

 

Tenendosi a questa forma di organizzazione della difesa della rivoluzione, i lavoratori rivoluzionari ucraini poterono da soli strappare dalle mani dei junker austro-tedeschi il cappio che quest’ultimi avevano stretto attorno alla rivoluzione in Ucraina e, non accontentandosi di difendere la rivoluzione, essi intensificarono il più possibile la loro azione per diversi mesi, difendendola dagli eserciti tedeschi ed ungheresi e dalle forze del direttorio ucraino, guidate da Petliura e Vinicenko e dalle forze dei generali Kaledin e Denikin1.

 

Man mano che la controrivoluzione si sviluppava nel paese, essa riceveva aiuti da altri paesi. Da questi paesi la controrivoluzione riceveva non solamente armi e munizioni ma anche soldati. Nonostante ciò, anche la nostra organizzazione per la difesa della rivoluzione crebbe ugualmente e adottò simultaneamente, in funzione al bisogno, nuove forme e mezzi più appropriati per la sua lotta.

 

Com’è risaputo, il fronte controrivoluzionario più pericoloso all’epoca consistette nell’armata di Denikin. Il movimento insorto rivoluzionario, però, tenne il passo con Denikin per 5-6 mesi. Molti dei migliori comandanti denikiniani inciamparono sulle nostre forze rivoluzionarie organizzate, che non avevano chiesto alcun aiuto e che erano equipaggiate solamente di armi catturate al nemico. La nostra organizzazione vi apportò un grande contributo: senza calpestare l’autonomia interna nelle unità combattenti, essa permise il loro riorganizzarsi in reggimenti e brigate, coordinati da

 

1 in quel periodo i bolscevichi non disponevano di forze in Ucraina. Le prime forze bolsceviche arrivarono in Ucraina dalla Russia solo diverso tempo

dopo ed occuparono subito un fronte contro la controrivoluzione parallelo al nostro, cercando in apparenza di unirsi ai lavoratori rivoluzionari organizzati in maniera autonoma e soprattutto senza il loro controllo statalista, ma in realtà   si occuparono della scomposizione e dispersione dei lavoratori, non disdegnando metodi quali il sabotaggio dei rifornimenti di munizioni -proprio nel momento in cui noi cercavamo di portare avanti un’offensiva lungo tutto il fronte e quando l’esito della battaglia dipendeva dalla forza della nostra artiglieria e dalle nostre mitragliatrici.


un comune Stato maggiore operativa.

 

E’ vero che la creazione di un comune Stato maggiore operativo si verificò solo grazie alla presa di coscienza delle masse lavoratrici rivoluzionarie che combattevano sia sul fronte che nelle retrovie, della necessità di un comando unico. Inoltre, sempre sotto l’influenza del nostro gruppo contadino anarcocomunista, questi lavoratori si occupavano anche di determinare i diritti uguali per ogni individuo per poter partecipare alla nuova costruzione sociale, in tutti i campi, tra cui l’obbligo di difendere queste conquiste. Così, mentre il fronte denikinano controrivoluzionario minacciava a morte la rivoluzione (e le nostre idee antistataliste che la animavano), che veniva seguita con un vivo interesse dai lavoratori rivoluzionari, questi lavoratori si raggruppavano sulla base del nostro concetto organizzativo della difesa della rivoluzione, facendolo proprio e rafforzando l’armata degli insorti con un flusso regolare di combattenti freschi in sostituzione di quelli feriti o affaticati.

 

Le esigenze pratiche della lotta comportavano all’interno del nostro movimento per la difesa della rivoluzione la creazione di uno stato maggiore operativo ed organizzativo di controllo unitario su tutte le unità combattenti.

 

E in seguito a questa pratica che io non posso accettare l’idea che gli anarchici rivoluzionari rifiutino nella loro azione pratica tra i ranghi delle masse lavoratrici la necessità di un tale Stato maggiore unito per orientare strategicamente le forze armate della rivoluzione contro le forze della controrivoluzione.

 

Noi siamo convinti che ogni anarchico rivoluzionario che si trovasse, durante un’autentica rivoluzione dei lavoratori, nelle stesse condizioni a quelle che noi conoscemmo durante la guerra civile in Ucraina sarebbe costretto ad usare gli stessi metodi militari- rivoluzionari che usammo noi quando vivemmo la storia della lotta civile in Ucraina. Ma se, nel corso di una futura rivoluzione sociale, ci saranno anarchici che negano i principi organizzativi di cui sopra, nonostante l’esistenza di fronti armati controrivoluzionari, allora questi anarchici faranno parte del movimento solo di nome, mentre in realtà essi saranno fuori del movimento, o vi apporteranno danni.

 

Nel risolvere la questione della difesa della rivoluzione, gli anarchici devono lasciarsi guidare dal carattere sociale dell’anarco-


comunismo. Se il nostro movimento è un movimento rivoluzionario sociale, dobbiamo riconoscere la necessità che sia organizzato e di dargli certi mezzi degni per l’azione sociale, ovvero delle istituzioni sociali, e poi prendere parte di tutto cuore alla vita pratica e alla lotta delle masse lavoratrici.

 

Nel caso contrario, se questo movimento è un’utopia dei sognatori, allora non dobbiamo impedire la lotta dei lavoratori rivoluzionari, in particolare coloro che non ci comprendono e che seguono i socialisti statalisti. Indubbiamente l’anarchismo è un movimento sociale rivoluzionario e per questo io sono e sarò sempre fautore della sua organizzazione specifica e per l’organizzazione, al momento della rivoluzione, di battaglioni, reggimenti, brigate e divisioni che necessariamente dovranno fondersi, in certi momenti, in un’armata regionale unica, sotto un singolo comando regionale nella forma di uno Stato maggiore organizzativo di controllo il cui compito sarà, secondo le necessita e le condizioni della lotta, di elaborare un piano operativo federativo, coordinando le azioni delle armate regionali al fine di concludere con successo i combattimenti sui vari fronti contro la controrivoluzione armata.



La questione della difesa della rivoluzione dalla controrivoluzione armata non è cosa facile. Essa può esigere dalle masse rivoluzionarie armate una tensione organizzativa veramente notevole. Gli anarchici rivoluzionari devono saperlo e tenersi pronti a dare il loro contributo in questo compito.

 

 

 

Delo Truda, N. 25, giugno 1927, pp. 13-14.

 

*Tratto da Nestor McNab (a cura di), La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici: origine, dibattito e significato, FdCA, Milano 2007.

 

Tradotto dal russo in francese da Alexandre Skirda; dal francese in italiano con riferimento all’originale in russo da Nestor McNab.




Lenin e il leninismo, guide del proletariato mondiale?

 

Nestor Makhno

 

In tutti i paesi, e particolarmente negli stati che formano l’Unione delle repubbliche sovietiche, si alza un clamore selvaggio, insensato: “Lenin è la guida dei lavoratori di tutti i paesi, egli ha edificato una teoria da essi utilizzabile ed ha mostrato quale sia il vero cammino della liberazione vittoriosa, etc.”.

 

Ovvero, nel paese medesimo dove i boia bianchi e rossi, nell’interesse dei loro partiti, hanno decapitato l’incomparabilmente grande rivoluzione russa - la liberatrice dei lavoratori - e attualmente dirottano le masse laboriose dalla loro vera meta; proprio là si è perduta la fiducia in se stessi, nella forza creatrice dell’azione spontanea per l’organizzazione della nuova società. E quest’evento si è prodotto in un paese in cui è scoppiata questa grande rivoluzione e dove essa è finita così prematuramente (ben prima d’aver conseguito il suo pieno sviluppo) nonostante l’entusiasmo di cui - Lenin ed i bolscevichi esclusi - le masse lavoratrice erano animate.

 

Alle sopra citate sciocchezze (ma per i partiti bolscevichi degli altri paesi sono invece affermazioni di grande importanza) - che non sono affatto degli scherzi, ahimè, ma piuttosto il marchio di una criminale irresponsabilità - fanno eco le urla dei partigiani di Lenin nei paesi esteri. Come conseguenza, queste affermazioni sono accettate come vere anche da coloro che non sono partigiani di Lenin, gli uomini-schiavi di cui l’intelligenza, la forza, la volontà sono in mano al capitale abietto e maniaco. Molti dunque, si ingannano e ingannano gli altri, si sgolano a gridare: “Lenin è la guida del Proletariato di tutti i paesi, egli ci ha donato la teoria della liberazione, egli ci ha mostrato la via della vera liberazione.

 

È inconcepibile che il borghese Lenin sia la guida del proletariato mondiale. Questa pretesa ci sembra ingiustificabile, senza fondamento, a noi contadini rivoluzionari, che abbiamo superato tutte le tappe della rivoluzione russa ed abbiamo fatto l’esperienza del “leninismo. Collocare Lenin su un piedistallo in questa veste è una derisione che prova unicamente la debolezza di spirito di coloro che si sforzano d’attribuire a quest’uomo la direzione del proletariato, mentre in realtà egli non si trovava nemmeno nel paese


durante la grande rivoluzione russa. L’assassinio di quest’ultima non ha avuto luogo se non grazie all’infantile ingenuità del popolo., e più ancora a causa delle baionette dei mercenari che, nella loro cecità, si vendettero al partito leninista.

 

A nostro avviso, mettere Lenin sul piedistallo in qualità di “guida di tutti i lavoratori del mondo “ non è altro, né più né meno, che una cattiva e criminale farsa nei confronti dell’umanità ingannata e oppressa, ancora abbastanza accecata da attribuire a queste sciocchezze un valore definitivo e specifico.

 

Il partito socialdemocratico bolscevico, che erroneamente si denomina comunista, ed il cui sostegno spirituale fu il borghese Lenin (Ulianov Lenin), colui che fino alla morte satura la grande rivoluzione russa della sua ignoranza scientifica e del suo vuoto marx- leninismo; questo partito agisce allo stesso modo della Borghesia verso i lavoratori, cioè a dire vuole unicamente e semplicemente degli schiavi fedeli.

 

Da Marx a Lenin, e dopo la loro scomparsa, questo partito ha sempre voluto essere l’educatore di tutta l’umanità lavoratrice, a carico di quelli che lavorano: esso non si rende nemmeno conto che è un educatore intruso, gesuitico, che si sforza di condurre le masse oppresse sotto un preteso vessillo di liberazione, mentre irresponsabilmente le smarrisce con una vittoria apparente sulla schiavitù economica, politica, psichica. In realtà, esso non persegue che una riforma della schiavitù dell’umanità. Ha sufficientemente dimostrato attraverso le sue azioni durante la grande rivoluzione russa, di saper essere un eccellente boia; un boia non soltanto di coloro che in periodo di lotta e fra gli uomini rappresentano un elemento malsano e corrotto, ma anche di coloro i cui impulsi sono sani, puri e belli, che si aprono nobilmente un libero sentiero, che lavorano allo sviluppo di tutte le forze creatrici per il bene dell’insieme sociale.

 

Questo partito si è dimostrato un malvagio educatore, principalmente un educatore nocivo.

 

I fenomeni che hanno rimarcato in modo particolare il partito leninista russo possono essere del pari osservati negli altri paesi. Questo semplice fatto a titolo d’esempio: noi vediamo i comunisti marciare in ranghi nelle strade, bastone in mano e randello di


caucciù dissimulato.

 

Da questa constatazione insignificante noi possiamo concludere che il movimento bolscevico, durante la rivoluzione russa, aveva un carattere più demolitore che rivoluzionario (negli altri paesi rivela lo stesso carattere).

 

Il bolscevismo leninista comporta in idee malsane in base a cui i lavoratori del mondo non saprebbero assumersi, in nessun caso, alcuna responsabilità. Questo, a volte, viene riconosciuto anche tra i ranghi del partito leninista, ma sempre confusamente. Esistono ancora milioni di lavoratori che, sotto l’influenza del partito, si immaginano di essere chiamati a dirigere il destino dell’umanità, invece di pensare ad un’unione libera e fraterna con i contadini poveri; avvelena i lavoratori - che durante la loro vita non hanno mai sentito e pensato se non come schiavi salariati, dipendenti - questo pensiero criminale per cui, adesso, gli schiavi decidono la sorte degli altri, tranquillizza i loro cuori. Ah! Il tempo aggiusterà tutto. È su queste parole di speranza e d’attesa che riposano i più evidenti attentati del partito a danno della classe lavoratrice, al prezzo del sua sangue e della sua vita. Si è celato ai lavoratori, si è loro mascherato, il crimine commesso verso la rivoluzione e le folle rivoluzionarie che con tutto il loro ardore si sforzavano di condurre la rivoluzione a buon fine distruggendo, una volta per tutte, la schiavitù e liberandosi dalla catene dello sfruttamento.

 

È comprensibile che il partito socialdemocratico dei comunisti bolscevichi, i quali perseguono i loro scopi nella vita privata e pubblica, attribuisca una grande importanza al fatto che Lenin sia elevato al rango di capo mondiale di tutti i lavoratori; di modo che il suo nome costituisca un legame tra il proletariato di tutti i paesi ed il loro partito. La dedizione di Lenin all’interesse del suo partito, il suo ardore personale sono davvero considerevoli. Un partito che porta il suo nome considera suo dovere rendergli onore. E gli rende omaggio perché ne ha bisogno come insegna...

 

Ma cos’ha in comune il bolscevismo leninista con le speranze ardenti dell’umanità sfruttata ed a corto di forze? Il bolscevismo che nella pratica sfocia nel diritto di dominazione dell’uomo sull’uomo e che sarà riconosciuto, da chiunque rifletta, come detestabile e criminale?


Il borghese Lenin con il suo panbolscevismo, lui e tutto il suo partito, volendo asservire alla sua volontà con la forza la massa dei lavoratori, è tanto lontano dalle mete elevate di una vera liberazione quanto le istituzioni della Chiesa e dello Stato, quali noi le vediamo.

 

Attualmente questa confusione di idee sembra misteriosa, ma si deve solo rileggere, ad occhi aperti, gli ultimi scritti di Lenin che, secondo l’opinione stessa dei bolscevichi, ne sono il testamento. In un rapporto presentato al Comitato di Mosca del Partito comunista russo, il 10 gennaio di quest’anno (Isvestia del 14 gennaio 1925), Kamenev  comunica le ferree istruzioni in base su cosa si deve dire di Lenin quando verranno fatte domande, e ricorda questo testamento dell’assente.

 

L’assunzione di Lenin nelle altezze celesti da cui egli discende verso di noi quale guida mondiale del proletariato esige che diciamo due parole su questo soggetto. Dunque, nel testamento citato da Kamenev, Lenin dice: “Noi dobbiamo edificare uno Stato dove gli operai conserveranno la supremazia su tutta la classe dei contadini2. Che voleva dire qui la “guida mondiale del proletariato”? Che gli operai che aderiscono al partito leninista non dovrebbero mai pensare di costruire una nuova società in collaborazione con la classe contadina?

 

O che egli voleva assoggettare quest’ultima al dominio della sua inconcepibile Dittatura operaio/bolscevica? Ed all’edificazione di un tale stato - in cui l’operaio ha il diritto di mettere sotto tutela tutta la classe contadina - molto abilmente era legata per Lenin l’idea dell’elettrificazione delle campagne. Se la classe operaia vuole dare seguito a quest’idea, i più grandi progressi sono possibili e si crea la grande industria. Attraverso ciò” continua la pretesa guida mondiale di tutti i lavoratori “sarà assicurata la rapida trasformazione degli affamati cavalli dei contadini in potenti corsieri - noi svilupperemo certamente una grande industria meccanica, elettrificataed aggiunge “noi siamo quindi sicuri di restare al potere.

 

Non è il caso qui di discutere la questione della trasformazione dei piccoli cavalli in grandi aratri meccanici. Noi crediamo fermamente alla forza creatrice dei lavoratori e siamo convinti che

 

2           Wir müssen einen Staat aufbauen, in welchem die Arbeiter die

Oberhand über die ganze Bauernschaft behalten.


se essi espropriano realmente la classe borghese di tutti i mezzi di produzione, del suolo e della proprietà fondiaria, allora sapranno ben riorganizzare la loro vita e tutte le loro relazioni economiche ed individuali. Una tutela dittatoriale sui contadini da parte di “operaicome Lenin, Kamenev, Zinovev, Trotsky, Dzershinsky, Kalinin e tanti altri, si dimostrata, nell’applicazione, impotente. Essi non sono riusciti a produrre che partiti, compromessi, deviazioni, arretramento dal bolscevismo al fascismo (il terrorismo politico dei bolscevichi verso le idee rivoluzionarie ed i loro difensori non differisce in nulla dal terrorismo fascista).

 

Quando Lenin incita le masse ad edificare uno Stato in cui gli operai abbiano la supremazia sui contadini, attenta all’idea di una libera comunità di lavoro fra essi; egli spinge la rivoluzione russa ad una situazione tale che i lavoratori oppressi rendono l’ultimo respiro. Essi sarebbero stati letteralmente soffocati e non avrebbero avuto la libertà condizionale di cui “godono” oggi nell’unione delle repubbliche sovietiche se i contadini avessero opposto la loro propria autorità a quella della classe operaia.

 

Per fortuna i contadini della Russia e dell’Ucraina non hanno la benché minima fede in Karl Marx; essi sanno assai bene che ogni violenza, qualunque nome essa porti, è criminale e volgare. Il contadino russo non si è mai sentito attirare dalla violenza, e l’ha sempre maledetta.

 

Ha sacrificato la sua libertà, se non la vita, per proteggere il “governo degli operaicontro gli attacchi della borghesia, poiché credeva essere l’operaio nel suo intimo estraneo ad ogni dispotismo, e che egli l’avrebbe aiutato a scacciare la servitù dalle sue fila. In luogo di questo, operai e contadini hanno subito gli uni e gli altri una nuova dominazione.

 

La questione che ora ci si pone è questa: parlare dell’edificazione di uno stato in cui una componente popolare ne domina un’altra - rientra nell’atteggiamento di una Guida mondiale del Proletariato? O piuttosto fa parte del linguaggio da capo di un gruppo di uomini che si sono dati come meta, sotto un falso vessillo di liberazione reale dal Capitalismo, il perseguimento di una riforma del sistema capitalista, grazie agli sforzi dei lavoratori ed a loro spese?

 

Noi affermiamo che un uomo di nome Lenin ha parlato in questo


secondo senso - che ha parlato come rappresentante del partito bolscevico che, se vuole essere imparentato con i lavoratori del mondo, non conosce rapporti di familiarità con le masse se non a condizione di considerarle come un mezzo per conseguire, senza difficoltà, la meta a cui tende come partito.

 

Fortunatamente i lavoratori del mondo non hanno detto la loro ultima parola: accetteranno, liberandosi da un’autorità, di mettersi poi sotto il giogo di una nuova costrizione, dispotica, più raffinata, tanto crudele (se non di più) quanto quella che vorrebbero scuotere? I lavoratori del mondo sanno a sufficienza che il loro compito sacro è quello di ridurre a nulla questa nuova violenza, al pari di tutte le altre.

 

Vivere fraternamente, liberati da ogni dipendenza e soggezione servile - ecco tutto l’ideale dellAnarchismo, che la natura sana dell’uomo implica. Il borghese Lenin e il suo partito bolscevico hanno sempre combattuto questo ideale elevato. Con le baionette, lo strangolamento, con le persecuzioni a cui sono stati esposti i portatori di questo ideale, i leninisti si sono sforzati di sporcarlo, di snaturarlo agli occhi delle masse. Al suo posto hanno cercato di far trionfare, grazie alla forza delle armi - prima tra gli operai, ed attraverso di loro nell’umanità intera - un ideale di omicidio continuo, di violenza brutale, d’avventure politiche.

 

Dopo questo, definire Lenin “la Guida mondiale del Proletariato” non è una derisione? Sì, è uno scherzo sinistro e criminale verso l’umanità sfruttata, ingannata, asservita.

 

Svezia, fine del maggio 1925

 

Articolo pubblicato ne l’en dehors, 31 agosto, 1925

 

 

 

[Traduzione di Pierfrancesco Zarcone.]












Nessun commento:

Lettori fissi