“Maria Nikiforova, anarchica
rivoluzionaria ucraina, completamente assente
dalla storiografia ufficiale, e persino autori vicini all’anarchismo non ne
fanno menzione. Sebbene lei fosse molto vicina al famoso contadino anarchico
Nestor Makhno , è raro trovarla menzionata nei libri sulla figura di Makhno.
Eppure nel 1918 la Nikiforova era già famosa come atamansha (comandante
militare) anarchica in tutta l’ucraina,
quando Makhno era ancora un personaggio poco noto, attivo solo nelle retrovie
della provincia. La Nikiforova non compare in alcuna opera di Peter Arshinov,
di Volin e di Paul Avrich. Alexandre Skirda le dedica solo un capitolo nel suo
libro di 400 pagine su Makhno. Fanno eccezione lo stesso Makhno ed il suo
ex-assistente Victor Belash. Nelle sue memorie ( che coprono 22 mwsi di
rivoluzione e guerra civile) Makhno riporta testimonianze di diversi scontri
drammatici in cui la Nikiforova ebbe un ruolo
dirigente. Anche Belash, la cui opera è stata salvata dagli archivi
della polizia segreta sovietica, compaiono fonti primarie su di lei.
Nestor Makhno: Lenin e il leninismo, guide del proletariato mondiale?????
Introduzione
L’attivista anarchica ucraina Maria Nikiforova (1887–1919) è
stata a volte paragonata a Giovanna D’Arco.
Al pari di Giovanna D’Arco ebbe umili
origini e, in maniera
del tutto
inattesa, divenne una
crudele comandante militare
che venne catturata ed uccisa dai suoi nemici giurati. E, come Giovanna, era una fanatica
che perseguiva i suoi scopi in modo violento e spietato.
Ma non c’è nessun culto di Maria Nikiforova. Non ci sono scaffali di libri, in nessuna lingua,
dedicati alla sua vita. Sebbene lei abbia avuto un ruolo molto importante nella Rivoluzione
Russa del 1917 e nella
seguente Guerra Civile, è stata
virtualmente espunta dalla storiografia
sovietica
sul periodo. Un
dizionario di biografie
della Rivouzione Russa
pubblicato nell’Unione Sovietica, con
centinaia di nomi, non ne fa alcuna menzione, nemmeno
tra le sole due dozzine
di donne inserite. Compaiono eroine bolsceviche come Alexandra Kollontai, Larissa
Reissner ed Inessa Armand
ma nessuna di queste
donne ha mai avuto un comando
militare indipendente come fu per la Nikiforova.
Non c’è nessuna ricerca
biografica universitaria su Maria Nikiforova, nessuna storiografia della sua vita che possa essere
aggiornata e magari reinterpretata. In parte ciò è dovuto al fatto che lei passò gran
parte della sua vita in
clandestinità: aderì ad
un gruppo
anarchico terrorista a 16 anni ed è stata attiva “alla luce del sole” appena per due anni (1917-1919). Per cui ci sono pochissime fonti per
ricostruire le sue attività e non ci sono nemmeno foto. Essere riconosciuti poteva
essere fatale per una terrrorista e così è stato per la Nikiforova fino
alla fine. I riferimenti sulla
sua vita attualmente esistenti sono di solito
tratti dalla
memorialistica o dalla finzione
romanzata. La maggior parte di
questi riferimenti risultano ostili alla Nikiforova e tendono
a dipingerla come una donna
respingente e cattiva.
Nikiforova era un’ucraina e le sue attività nella
Rivoluzione Russa e
nella Guerra Civile hanno avuto come teatro soprattutto l’Ucraina, eppure è stata del tutto ignorata dagli
storici ucraini. Lei era una
anti-nazionalista e - al pari
del movimento
anarchico ucraino in generale - non
poteva
essere ricondotta ad una prospettiva storicamente nazionalista.
Persino autori vicini
all’anarchismo non ne
fanno menzione. Sebbene lei fosse
molto vicina al famoso contadino
anarchico Nestor Makhno,
è raro trovarla menzionata
nei libri sulla figura di
Makhno. Eppure nel 1918
la Nikiforova
era
già famosa
come una atamansha (comandante
militare) anarchica in tutta l’Ucraina, quando Makhno era
ancora un personaggio poco noto, attivo
solo nelle retrovie della provincia. La Nikiforova non compare in
alcuna opera di Peter Arshinov, di Volin e di Paul Avrich.
Alexandre Skirda le dedica solo un capitolo nel suo libro di 400 pagine su
Makhno. Fanno eccezione lo stesso Makhno ed il
suo
ex-assistente Victor Belash.
Nelle sue memorie (che coprono 22 mesi di rivoluzione
e guerra civile) Makhno
riporta testimonianze di diversi
scontri drammatici in cui la Nikiforova ebbe un
ruolo dirigente. Anche in Belash, la cui opera è stata salvata dagli archivi della polizia segreta sovietica,
compaiono fonti primarie su di lei.
Fin dal collasso dell’Unione Sovietica si è sviluppato in Russia ed
in Ucraina un tremendo interesse nel
rintracciare le “collusioni coi
Bianchi” nella storia
di Makhno e della Nikiforova. Makhno e Nikiforova
hanno beneficiato di questo interesse
vista la pubblicazione di molti libri su
Makhno e di alcuni saggi sulla Nikiforova. Gli archivi hanno restituito alcune
informazioni ben solide; per esempio,
lo stato di servizio della Nikiforova
risale
a quando era membro dell’Armata
Rossa. Gradualmente viene alla luce un ritratto della sua vita ed è possibile stabilire
una narrazione ragionevolmente
fondata anche se permangono molte ambiguità.
Qui di seguito un ritratto della vita
della Nikiforova basato
soprattutto su fonti
secondarie pubblicate in Russia ed in
Ucraina negli ultimi venti anni.
La giovane terrorista
Secondo la tradizione,
Maria Grigorevna Nikiforova
è nata nella città ucraina di Aleksandrovsk nel 1885, figlia di un ufficiale
che era stato un eroe nell’ultima guerra russo-turca. Anche se questo potrebbe spiegare l’ardore
militare di lei, non sembra che le cose
stiano così. Nemmeno la figlia di un ufficiale impoveritosi avrebbe
lasciato la famiglia a 16 anni per andare a vivere da sola,
come poi fece Maria.
All’inizio del 20° secolo,
Aleksandrovsk era
una città
in rapida industrializzazione con una consistente popolazione di classe
operaia. All’epoca non
c’erano molte
occasioni di lavoro per
le donne,
ma Maria
riuscì a trovare lavoro come
baby
sitter,
come commessa, come addetta al lavaggio delle
bottiglie in una distilleria
di vodka.
Più o meno nello stesso periodo
la Nikiforova trovò lavoro
come operaia e si
unì ad
un gruppo
di comunisti
anarchici. Questa tendenza politica si
distingueva dagli alti gruppi
di sinistra, compresi gli anarchici, poichè riteneva che la società umana avesse già
raggiunto
un livello
tale da poter permettere una transizione
immediata al comunismo. I comunisti anarchici iniziarono ad essere attivi in Ucraina nel 1903 ed ebbero un considerevole successo
tra la gioventù della classe
operaia nei centri industriali. Durante gli eventi rivoluzionari del 1905-1907 c’erano almeno 90 gruppi comunisti anarchici in Ucraina, più numerosi
e meglio organizzati di quelli in Russia.
Molti di questi gruppi, compreso quello di Maria, fecero proprio
il terrorismo senza motivo
(bezmotivny terror), sostenendo la necessità di attaccare gli agenti della repressione economica
sulla base della loro posizione di
classe.
Questo terrorismo economico segnò
un cambiamento rispetto alla diverse
precedenti varietà del terrorismo russo
in cui gli obiettivi dei terroristi erano i tiranni politici.
Dopo aver scontato una sorta di
libertà vigilata, Maria divenne una vera e propria
militante (boevik), col potere di
prendere parte a espropri (per raccogliere fondi per la causa) e ad atti di terrorismo.
Anche i nostri tempi
hanno visto episodi
di “terrorismo senza
motivo”, ma è importante collocare i terroristi anarchici ucraini nel contesto del loro tempo, non nel nostro. I primi anni del XX secolo avevano creato
tra
le classi
popolari dell’impero russo delle frustrazioni
represse a causa del fallimento
delle attività rivoluzionarie
per cambiare
l’ordine socio-politico del
Paese
in modo
significativo.
Quello russo
era un
impero guidato da un monarca che
era un
membro onorario dell’ “Unione
del popolo russo”, un’organizzazione più o meno equivalente al Ku Klux Klan. In attività
non c’erano solo gli anarchici
che facevano ricorso al terrore
contro il regime. Tutti i gruppi
socialisti usavano il terrorismo.
Anche anche i liberali della classe
media approvavano l’uso del terrore
contro la repressione zarista.
E anche se gli anarchici russi non erano più di qualche
migliaio, le fila dei loro
simpatizzanti erano molto più
numerose.
Maria prese parte
ad un
attentato dinamitardo ad un treno
passeggeri. Non ci fu nessun ferito, ma alcuni passeggeri benestanti ne rimasero terrorizzati. In un
altro attentato dinamitardo rimase ucciso il fattore di una azienda agricola,
provocandone
le chiusura per un lungo periodo. Un attentato all’ufficio commerciale di una
fabbrica di macchine agricole ad Aleksandrovsk
provocò
la morte del cassiere-capo e di una guardia,
oltre a fruttare 17.000 rubli. Quando la polizia le fu addosso, Maria cercò di farsi saltare in aria
con una bomba, che però non esplose e così venne
incarcerata.
Nel processo del 1908 venne accusata dell’omicidio di un
poliziotto e di avere preso parte a
furti in armerie in quattro diverse
località. La corte la condannò a morte, ma poi a causa della sua giovane età
(nell’Impero Russo si
diventava
maggiorenni a 21 anni),
la sentenza
venne
commutata in venti anni
di lavori
forzati. Venne mandata prima nella fortezza
di Petro-Pavlovsk nella capitale russa e poi in Siberia per scontare la
pena.
E’ difficile
stabilire esattamente quando ad un certo punto della sua vita,
Maria Nikiforova iniziò ad
essere nota come “Marusya”,
uno dei tanti diminutivi slavi per
“Maria”. Nella tradizione popolare ci si riferisce
a lei sempre come Marusya, cosa che certamente lei tollerò, consentendo persino agli
sconosciuti di rivolgersi
a lei chiamandola Marusya. Dunque
anche noi la chiameremo così
in questo saggio.
Il Grand Tour
Marusya non rimase a lungo
in Siberia. Secondo una fonte,
organizzò una rivolta nella
prigione di Narymsk
e fuggì attraverso la
taiga verso la Grande Ferrovia Siberiana. Probabilmente raggiunse Vladivostok, e da
lì il
Giappone, dove venne aiutata da
studenti cinesi anarchici che le procurarono un biglietto
per gli U.S.A. Qui
si sistemò
temporaneamente presso la
numerosa comunità di anarchici emigrati dall’Impero Russo, soprattutto
di origine ebraica,
che si erano stabiliti a New York e Chicago. Pare che Marusya ebbe modo di pubblicare articoli
di propaganda in lingua russa
sotto vari pseudonimi.
Nel 1912, Marusya ritornò in Europa stabilendosi a Parigi. Nel 1913
era in Spagna dove
ebbe la possibilità di mettere a
disposizione la sua abilità nelle “azioni” con gli anarchici spagnoli. Durante una
rapina anarchica
ad una banca a Barcellona, Marusya venne ferita e portata segretamente in una
clinica francese per essere curata.
Nell’autunno del 1913 è di
nuovo a Parigi, dove frequenta i caffè, poeti ed artisti, vari politici
russi come il social-democratico Vladimir
Antonov-Ovseyenko che l’avrebbe poi aiutata in alcune situazioni
difficili. Scoprì di avere un talento o almeno una predilezione per la
pittura e la scultura e si mise a frequentare le scuole d’arte.
Marusya si sposò con il
polacco anarchico Witold Bzhostek. Fu
certamente un matrimonio di convenienza,
dato che i due passarono lunghi periodi senza vedersi e
Marusya continuò
a portare il cognome da nubile. Tuttavia sembravano molto legati l’uno all’altra
fino a condividere lo stesso destino.
Alla fine del 1913, Marusya era
a Londra per partecipare come delegata
ad un
congresso di comunisti-anarchici.
Era
una dei
26 delegati e si firmò come “Marusya”. Uno dei temi più importanti del congresso era la mancanza di formazione anarchica e di propaganda agitatoria, specialmente in
confronto ai competitori marxisti.
Questo periodo
alquanto idilliaco della sua vita ebbe brutalmente fine con lo scoppio
della Prima Guerra Mondiale.
Il conflitto portò a divisioni all’interno della sinistra tra
gruppi interventisti e gruppi anti-militaristi. Gli
anarchici non fecero eccezione
ed i comunisti
anarchici si schierarono con
Kropotkin che aveva posizioni
anti-
tedesche. Pare che Marusya si sia schierata con Kropotkin non solo
in teoria, dato che entrò in una scuola militare
francese e ne uscì col
grado di ufficiale. Secondo quanto dichiarato da lei stessa, venne
inviata
sul fronte
di Salonicco, dove apprese
dello scoppio della rivoluzione in Russia.
Come molti immigrati
russi di sinistra,
Marusya fece ritorno in Russia nel 1917. Raggiunse Pietrogrado e si gettò
immediatamente nell’attività rivoluzionaria.
I giorni della rivoluzione a Pietrogrado
Pietrogrado era la sede di due organi di potere concorrenti – il Governo Provvisorio ed il Soviet di Pietrogrado. Il Governo Provvisorio, privo di legittimazione in quanto non era mai stato
eletto, era gestito
dai liberali e da socialisti di destra. Non volendo e non essendo
in grado di porre fine alla partecipazione della Russia nella guerra mondiale
e risolvere la
questione della terra nelle
campagne, il governo provvisorio barcollava da una crisi
all’altra. Il Soviet di Pietrogrado
comprendeva i gruppi più radicali, come i bolscevichi,
che erano determinati a non fermarsi
solo alla distruzione del sistema zarista, bensì a puntare alla fine
dell’ordine borghese.
Gli anarchici russi,
come spesso
accadde nel 1917-18, agivano come truppe d’assalto per i gruppi meglio
organizzati dell’estrema sinistra. Le
attività rivoluzionarie degli anarchici portarono alla
repressione da parte del
governo provvisorio
che arrestò
60 di
loro a Pietrogrado nel mese di giugno 1917. Uno di quelli rimasti in
libertà era il
comunista anarchico S. Bleikhman, un
deputato popolare del Soviet
di Pietrogrado. Bleikhman aveva
organizzato una grande manifestazione anti-governativa per il 3 luglio che
avrebbe dovuto coinvolgere il personale militare
nonché i lavoratori militanti. La partecipazione dei marinai della vicina base navale di
Kronstadt fu fondamentale e gli anarchici
misero insieme una squadra di agitatori per convincere i marinai a partecipare.
Essendo giunta da poco in Russia, Marusya fu tra gli anarchici
che si recarono a Kronstadt. Fece
dei comizi nella grandissima Piazza
Anchor di fronte ad una folla di 8.000 - 10.000 marinai, incitandoli a non
starsene in disparte. Grazie anche
alle sue parole, diverse migliaia di marinai si recarono a Pietrogrado per le manifestazioni del
3 e 4 luglio che quasi fecero cadere il Governo Provvisorio. Sebbene le
organizzazioni bolsceviche sostenessero le manifestazioni,
i dirigenti del Partito Bolscevico respinsero l’idea di una insurrezione in quanto “prematura” e destinata al fallimento.
Il governo iniziò a perseguitare i bolscevichi
e gli anarchici. Tra
i bolscevichi, finì in prigione
Alexandra Kollontai, che era amica
di Marusya, mentre altri fuggirono verso
la vicina Finlandia. I marinai di Kronstadt diedero rifugio e protezione a
Bleikhman impedendo che fosse arrestato. Marusya decise
che era giunta l’ora di ritornare
in Ucraina per cercare di far rinascere
il movimento anarchico
ucraino. Nel luglio
1917, giunse ad Aleksandrovsk, dopo un’odissea di otto anni che l’aveva
portata in giro per il mondo.
Marusya: la persona e
l’attivista
A questo punto appare
appropriato affrontare la questione
controversa della sessualità
di Marusya. Secondo alcune fonti
pubbliche, dichiaratamente
scritte dopo la
sua morte da persone che
le erano ostili, Marusya sarebbe
stata quella che oggi verrebbe definita
come persona “intersex”. Questo
ritratto si
ritrova in
spietate descrizioni fisiche della sua
persona, come nel caso dell’ex-makhnovista Chudnov che di lei scrisse nel 1918: “Era una donna di
32-35
anni, di media altezza, con un volto emaciato e prematuramente
invecchiato
che aveva qualcosa
dell’eunuco o dell’ermafrodito. Portava
i capelli corti tagliati in foggia circolare”.
L’agitatore bolscevico Kiselev scrisse nelle sue
memorie di aver conosciuto Marusya nel 1919: “Aveva circa 30 anni. Esile con un volto emaciato, dava l’impressione di una signora vecchio
stampo. Naso sottile. Indossava una
blusa ed una camicia, portava un cinturone
con la pistola in vista”. Kiselev
accusò Marusya di essere stata una cocainomane. La maggior
parte dei ritratti di
parte bolscevica hanno tutti lo
stesso stampo.
Fa eccezione il bolscevico Raksha che conobbe
Marusya nella primavera del 1918:“Avevo sentito
dire che fosse
una bella donna... Marusya se ne stava seduta al tavolo con una sigaretta tra
i denti. Questa diavolessa
era veramente
bella: sulla trentina, capelli nero- zingaro con un magnifico seno che prorompeva dalla
sua camicia militare”.
Ancor a una
sua descri z i one del l ’estate
del 1918: “Una
carrozza è schizzata per la strada a una velocità folle.
Incurante del pericolo
vi era sopra sdraiata una giovane bruna con un kubanka inclinato in modo sbarazzino sulla
testa. In piedi
sulla pedana c’era
un tipo dalle spalle larghe
che indossava calzoni rossi
da cavalleria. La bruna e la sua guardia
del corpo portavano addosso tutti i tipi di
armi possibili.”
Generalmente le descrizioni fisiche di Marusya oscillano tra queste
due visioni: una che ne fa una donna attraente,
l’altra una donna respingente. Si può certamente sospettare che
i memorialisti bolscevichi,
disapprovando l’ideologia di Marusya,
abbiano cercato di farla apparire
fisicamente brutta. Quello che sappiamo
con certezza è che Marusya era
un personaggio carismatico che faceva
una forte
impressione sulle persone che incontrava ed
era
in grado di influenzarle
solo in virtù alla sua forte
personalità. I suoi commilitoni le erano tenacemente fedeli, cosa che lei ricambiava
con la stessa lealtà.
Le opinioni politiche di Marusya sono ben note grazie ai suoi
numerosi comizi. Il carcere, i lavori
forzati e le sue peregrinazioni in vari
paesi avevano
rafforzato
le convinzioni
politiche della sua gioventù. Era solita
dire: “Gli anarchici non fanno promesse.
Gli anarchici vogliono solo
che il
popolo prenda coscienza della
sua situazione
e conquisti la libertà
con le
sue mani.”
Il suo
credo,
espresso più volte, era questo:
“Gli operai ed i contadini devono, il
più rapidamente possibile, prendersi tutto
ciò che
essi hanno costruito nel corso dei secoli ed usarlo per i loro propri
interessi.”
Sul piano della tattica, Marusya era stata
influenzata dal veterano
anarchico Apollon Karelin che lei aveva conosciuto a Pietrogrado.
Karelin
era esponente della
tendenza nota come “anarchismo sovietico” che incoraggiava gli anarchici a partecipare alle istituzioni
sovietiche
allo scopo di spingere
la rivoluzione
nella direzione giusta, quella di
maggiore libertà. Quando i soviet iniziarono
a deviare dal percorso originario,
gli anarchici si ribellarono. Karelin stesso divenne membro
del più alto organismo dei soviet nel 1918. Molti anarchici disapprovavano questa
tattica, soprattutto
perchè si ritrovavano in genere ad essere in netta minoranza all’interno degli organismi del sistema sovietico.
Aleksandrovsk & Gulyai-Pole
Tornata ad Aleksandrovsk, Marusya scoprì che vi era una Federazione
Anarchica composta da 300 militanti,
ma senza
alcuna influenza sulla politica locale. Marusya diede una scossa alle cose - in un
istante si ritrovò ad
avere seguito tra gli
operai e condusse
con successo l’esproprio di un milione
di rubli nella distilleria Badovsky (forse quella
dove aveva lavorato).
Una parte
del denaro
venne donato al soviet di Aleksandrovsk.
Aleksandrovsk era il
capoluogo della uyezd [unità amministrativa dell’impero zarista, ndt] in cui
era
situato Gulyai-Pole. Questo
“villaggio” di 17.000
abitanti aveva dato
i natali a Makhno, la figura di spicco del gruppo comunista anarchico locale che aveva un centinaio
di militanti.
Makhno aveva stretti
rapporti
con la
Federazione Anarchica di Aleksandrovsk, dove si recava frequentemente
nonostante fosse scettico sulle attività (o mancanza di attività) di quella federazione.
Gli anarchici di Aleksandrovsk erano a loro volta critici verso Makhno, accusandolo di voler guidare un partito
politico per cercare di prendere il potere.
Marusya si incaricò di recarsi a Gulyai-Pole (circa 80 km a est di Aleksandrovsk, ma molto
di più in
treno) per rampognare
gli anarchici locali che -
secondo lei - non si erano spesi
abbastanza nello spremere duramente
la borghesia locale. Il 29 agosto 1917 fece un comizio
all’aperto in un’assemblea molto partecipata,
presieduta da Makhno, nei giardini
pubblici del paese.
In quel comizio Marusya
predicò il vangelo dell’insurrezione:
ribellarsi e ribellarsi finchè tutti gli
organi del potere non siano
eliminati. Portare la rivoluzione
fino in fondo ora, diceva, oppure il Capitale risorgerà. Faceva appello anche ad un’azione immediata
per rispondere all’aggresssione ai danni della rivoluzione da parte del potere statale ucraino collegato con la costituzione del governo della Central’na Rada [istituzione governativa di breve durata creata
dai socialisti nel 1917 per governare l’Ucraina, ndt]. Non bisognava tergiversare,
diceva
Marusya, proponendo
azioni terroristiche contro i sostenitori del nascente Stato ucraino.
Mentre Marusya arringava la gente del posto, a Makhno vennero
improvvisamente consegnati due telegrammi. Interruppe Marusya e disse ad un pubblico
sbalordito “La rivoluzione è in pericolo!”
Entrambi i telegrammi provenivano da Pietrogrado - uno del governo provvisorio, l’altro del Soviet di Pietrogrado. Entrambi
si riferivano all’ammutinamento del
generale Kornilov ed alla sua avanzata
su Pietrogrado per porre fine alla rivoluzione. Il telegramma del Soviet
suggeriva la formazione a livello locale di “Comitati per la salvezza della rivoluzione”.
Mentre la folla
rumoreggiava, risuonò una
voce:
“il sangue
dei nostri fratelli già scorre ma qui i contro-rivoluzionari se la prendono a risate.” Dal palco venne
indicato un certo Ivanov,
un ex-agente segreto. Marusya
subito saltò giù dalla piattaforma e “arrestò”
Ivanov che si trovò
circondato da una folla inferocita.
Makhno intervenne per
salvare la
vita dell’ex-poliziotto dicendo che era “innocuo”.
Il Sindacato dei Contadini di
Gulyai-Pole e il
gruppo comunista- anarchico adottarono l’invito
del Soviet
di Pietrogrado, con
un piccolo
cambiamento: formarono un Comitato per
la difesa
della rivoluzione. La
sua prima
azione fu quella di confiscare
tutte le armi nelle mani della borghesia locale. Marusya aveva qualcosa di leggermente diverso in mente. Nella vicina città di Orekhov erano
di stanza due reggimenti dell’esercito regolare. Marusya propose di andare a prendere le loro armi.
Organizzò una milizia di circa 200 militanti ed il 10 settembre
si spostarono in
treno
verso Orekhov. Erano armati in maniera
indeguata, disponendo solo di un
paio di
dozzine di fucili ed altrettante pistole sequestrate alla polizia
ferroviaria di Gulyai-Pole.
Giunti ad Orekhov, circondarono il quartier generale dei reggimenti
militari. Il loro comandante riuscì a darsela
a gambe, ma gli ufficiali più giovani vennero catturati. Marusya li uccise
con le sue stesse mani, mostrando la
sua determinazione
nell’uccidere chiunque appartenesse all’odiata “casta” degli ufficiali.
La truppa fu ben felice
di consegnare le armi e di far ritorno a casa. Le armi vennero
portate a Gulyai-Pole e Marusya ritornò ad Aleksandrovsk.
Gli organismi del Governo Provvisorio di Aleksandrovsk erano sotto
la guida del commissario-capo B.
Mikhno (un liberale) e del commissario militare S. Popov (socialista
rivoluzionario).
Queste autorità rimasero infastidite da quello che succedeva
a Gulyai- Pole, in particolare, dalla confisca delle armi della borghesia e dalla
divisione del latifondo tra i
contadini. Gli organismi locali di Gulyai-Pole, completamente infiltrati dagli anarchici, iniziarono
a ricevere
ordini minacciosi dalle più
alte autorità.
A Gulyai-Pole, questi
ordini vennero ignorati; infatti Makhno reagì recandosi ad
Aleksandrovsk con un altro delegato, B.
Antonov, per incontrare
direttamente gruppi di operai. I due
anarchici vennero accompagnati in città da Marusya che li portò in diverse assemblee
di fabbrica.
Dal momento
che Makhno
e Antonov agivano
su mandato del soviet di Gulyai-Pole, le autorità
non osarono toccarli. Ma con Marusya
era una storia differente e dopo che
Makhno ed Antonov ebbero lasciato la
città, lei venne arrestata in casa
sua e portata in carcere in auto.
Le cose però presero
subito una spiacevole piega per le
autorità. Marusya era molto
popolare tra gli
operai di
Aleksandrovsk e la notizia del suo arresto divampò come un incendio. Il mattino dopo il suo arresto una delegazione
di operai
si recò
dal commissario
per chiedere il suo rilascio. La
richiesta venne respinta. Ma
ad Aleksandrovsk c’era anche un soviet che condivideva il potere
con il governo
ufficiale. Venne organizzato un corteo che si diresse verso la sede del Soviet a chiedere
giustizia. Le fabbriche lavorarono al minimo facendo risuonare le loro
sirene per tutta la durata del corteo. Lungo il percorso i manifestanti si imbatterono nella
carrozza del presidente del Soviet,
Mochalov (un menscevico), che venne letteralmente
costretto a cambiare percorso per recarsi al carcere insieme ad alcuni delegati
degli operai. Marusya venne liberata e portata
in manifestazione
dove
venne
fatta passare sulle teste degli operai fino a comparire di fronte alla folla ammassata davanti alla sede del Soviet. Marusya, che aveva una voce
potente, colse l’occasione per fare un discorso
che spingeva verso la mobilitazione e verso la lotta contro
il governo per
una società
libera
da ogni
autorità.
Intanto la notizia
dell’arresto di Marusya stava causando il caos a Gulyai-Pole. Makhno riuscì a raggiungere il commissario Mikhno per
telefono; si scambiarono minacce reciproche e Mikhno riattaccò. Gli anarchici
riempirono un treno per attaccare il
governo ad Aleksandrovsk. Lungo il tragitto
ricevettero notizia
della liberazione di Marusya e si fermarono per festeggiare.
La conseguenza politica di questi avvenimenti fu
che le
nuove elezioni del Soviet di Aleksandrovsk spostarono a sinistra gli equilibri,
con l’elezione anche di alcuni anarchici e col mandato di non ostacolare le
attività rivoluzionarie a Gulyai-Pole.
La Rivoluzione d’Ottobre in
Ucraina
Come la maggior parte degli
anarchici, Marusya
accolse con entusiasmo le notizie
della Rivoluzione d’Ottobre.
Gli anarchici considerarono
il colpo
di stato
dei bolscevichi
e della Sinistra Socialista Rivoluzionaria (costituenti
del cosiddetto
Blocco di Sinistra) come
uno stadio
ulteriore nell’estinzione dello Stato.
Una volta scomparso
lo zarismo e lo stato borghese,
gli anarchici erano convinti che il governo del Blocco di Sinistra sarebbe stato un
fenomeno temporaneo che sarebbe
presto scomparso.
Marusya passò l’autunno ad organizzare
i reparti della “Guardia Nera” ad
Aleksandrovsk e ad Elizavetgrad,
una città
dell’Ucraina centrale, in
cui c’era una
forte federazione anarchica.
Secondo alcune fornti storiche, Marusya fu
responsabile dell’uccisione del presidente
del Soviet di Elizavetgrad. Dopo la rivoluzione
d’ottobre, i soviet di molte città
ucraine assunsero posizioni più vicine alla Central’na Rada
[Consiglio Centrale, ndt] ucraina di Kiev, piuttosto che al governo sovietico
di Pietrogrado. Ad Aleksandrovsk la stessa decisione venne presa il 22 novembre
1917 con 147 voti contro 95, favorevoli a diventare parte della
Repubblica Nazionale Ucraina con base a Kiev.
Quando il governo nazionalista
di Kiev
si rifiutò
di riconoscere
il governo del
Blocco di Sinistra a Mosca, questo
invase
l’Ucraina con una forza eterogenea composta da unità della Guardia Rossa. Entrambe le parti
si combatterono in una sorta
di “guerra diagonale”, avanzando o ritirandosi lungo le linee ferroviarie, similmente a quanto stava
accadendo nella contemporanea
Rivoluzione Messicana.
Nel dicembre 1917, Marusya
concordò un’alleanza con l’organizzazione bolscevica ad Aleksandrovsk con
lo scopo
di rovesciare il
Soviet locale.
I bolscevichi ricevettero un
carico segreto di armi, mentre gli anarchici
riuscirono ad avere l’appoggio di un reparto dei marinai della
Flotta del Mar Nero, comandata da M.
V. Mokrousov. Il 12 dicembre
1919, Mokrousov si presentò ad
un’assemblea unitaria del Soviet di
Aleksandrovsk con i consigli di
fabbrica per chiedere la ri-costituzione del Soviet con la presenzadi rappresentanti bolscevichi.
I rappresentanti degli
altri partiti (menscevichi e socialisti rivoluzionari) abbandonarono l’assemblea ed il nuovo Soviet
era fatto.
Il 25 e 26
dicembre 1917, Marusya spostò
le sue
truppe verso Kharkhov
per aiutare
il Blocco
di Sinistra a stabilire
il potere
sovietico
nella
città.
Le sue truppe
si impegnarono in
azioni
che
diventarono il marchio distintivo di Marusya: saccheggio dei negozi
e distribuzione dei prodotti agli abitanti. Il 28 e 29 dicembre, le sue Guardie Nere
presero parte ai combattimenti contro le haidamaks [bande paramilitari cosacche,
ndt] a Ekaterinoslav, riuscendo
a insediare con successo il potere
sovietico anche
in quella
città. Secondo la sua versione dei
fatti, il suo reparto fu il
primo ad entrare in città e
lei personalmente disarmò 48 soldati.
Il Blocco di Sinistra sciolse l’Assemblea Costituente Russa
agli inizi del gennaio 1918,
rendendo inevitabile la Guerra
Civile. Privo di una forte base popolare, specialmente
nelle campagne, il Blocco di Sinistra aveva bisogno di alleati e solo gli anarchici dimostravano il medesimo implacabile odio verso la borghesia. Il Blocco di Sinistra cercò
in particolare
l’aiuto degli anarchici
ucraini, dove vi
erano diversi gruppi come quelli
di Marusya e di Makhno che avevano dimostrato
capacità militari.
Nel frattempo ad Aleksandrovsk il nuovo regime era sotto minaccia da parte delle truppe del Rada Centrale. Le forze sovietiche non erano così numerose come quelle degli haidamaks (che avevano carri armati). I rivoluzionari decisero di non utilizzare l’artiglieria di Mokrousov al fine di evitare di distruggere la città. Dopo tre giorni di combattimenti di strada, i bolscevichi e gli anarchici furono costretti a ritirarsi. Gli equilibri cambiarono quando giunsero le Guardie Rosse da Mosca e Pietrogrado. Il 2 gennaio 1918, gli haidamaks si ritirarono sulla riva destra del Dnepr e il potere nella città cadde nelle mani del Comitato rivoluzionario di recente formazione (Revkom). Il 4 gennaio Nestor Makhno e suo fratello Savva si presentarono con un reparto forte di 800 Guardie Nere da Gulyai-Pole. Makhno venne invitato a far parte del Revkom ed alla Federazione degli Anarchici venne permesso di nominare due delegati, uno dei quali era Marusya che divenne vice-leader del Revkom.
La
minaccia cosacca
Gli haidamaks si erano ritirati,
ma ora c’era un nuovo pericolo che minacciava
la rivoluzione in città. Un convoglio di truppe cosacche a cavallo si stava avvicinando alla città dal fronte esterno lungo la linea del Don per unirsi al movimento contro-rivoluzionario del reazionaio generale Kaledin.
Realizzando il pericolo che i Cosacchi potevano
portare alla rivoluzione,
gli insorti
di Aleksandrovsk decisero
di fermarli.
Gli anarchici portarono i loro
reparti attraverso il vicino
ponte sospeso di Kichkass sul Dnepr e
scavarono
trincee lungo la linea ferroviaria.
Presto i Cosacchi
si fecero vedere. Ci
furono contatti telefonici e venne
organizzato un incontro tra le due
parti. Makhno e Marusya facevano parte della
delegazione che era
andata in treno al
luogo dell’incontro. I Cosacchi si
presentarono bellicosi annunciando la presenza
di 18 reparti loro e altri 7 degli haidamaks che nessuno avrebbe fermato. I negoziati furono interrotti.
Il primo treno cosacco che provò a passare venne accolto dall’artiglieria pesante
e fece rapidamente marcia
indietro, collidendo col treno alle sue spalle e provocando
un disastro ferroviario con perdita
di vite umane e di cavalli. Ben presto una delegazione di
Cosacchi giunse ad Aleksandrovsk per capitolare davanti al Revkom. Consegnarono le armi, ma vollero tenere con sè i cavalli
e le selle per motivi “culturali”.
Il disarmo dei Cosacchi
richiese molti giorni ed i politici locali colsero
l’occasione per cercare di portarli dalla parte della rivoluzione. In un raduno
all’aperto, migliaia di Cosacchi
ascoltarono una serie di oratori socialisti, ma con scarsi risultati. Se ne stavano lì
intorno a fumare e ogni tanto a
deridere gli oratori.
Allora Marusya salì
sul palco
e prese la parola. E i Cosacchi le
prestarono ascolto. “Cosacchi, devo dirvi
che voi siete i macellai degli operai russi. Continuerete ad essere così in futuro, o riconoscerete la vostra
malvagità ed entrerete nelle fila
degli oppressi? Fino ad ora non
avete
dimostrato nessun rispetto
per i lavoratori poveri. Per un rublo dello zar o per un bicchiere
di vino, li avete inchiodati su una croce.”
Mentre Marusya continuava a parlare con questo tono, molti
Cosacchi si tolsero il cappello e piegarono il capo. Ben presto
alcunidi loro scoppiarono in lacrime come bimbi.
Un gruppo di intellettuali di Aleksandrovsk era in mezzo alla folla.
E si dissero:
“Le parole
dei rappresentanti del Blocco di Sinistra appaiono del tutto deboli se comparate con quelle degli anarchici ed, in
particolare, con il discorso di M. Nikiforova.”
Uno dei risultati di questi raduni,
che andarono avanti per giorni, fu che un certo numero di
Cosacchi mantenne dei contatti con
gli anarchici
di Gulyai-Pole dopo che si
diressero verso il Kuban e le loro regioni.
Completato il
disarmo dei Cosacchi, Marusya e
Makhno ripresero i loro compiti all’interno del Revkom di Aleksandrovsk. A Makhno
era stato assegnato il lavoro “sporco” di presidente di un
tribunale che doveva
giudicare vari prigionieri politici
arrestati dal nuovo ordine politico.
Tra
questi vi era Mikhno,
l’ex-commissario del
Governo Provvisorio
che aveva ripetutamente minacciato Makhno ed aveva incarcerato Marusya. Makhno lo fece liberare, dicendo
che si trattava
di un onest’uomo che aveva
solo dovuto eseguire degli ordini.
Makhno non fu così magnanimo con un altro prigioniero, l’ex- procuratore generale Maksimov. Quando, molti anni prima, Makhno era stato rinchiuso nelle carceri di Aleksandrovsk, Maksimov aveva disposto che la sua detenzione fosse la più dura possibile. Considerate le prove contro di lui, Makhno si sentì giustificato nel condannarlo a morte. Ma gli altri membri del Revkom, compresa Marusya, intercedettero a suo favore. Sebbene anche loro lo considerassero un contro- rivoluzionario, sapevano che il nuovo regime era troppo fragile per permettersi di condannare a morte un uomo ben visto in città. Makhno non la prese bene e fu solo dopo una notte di riunioni che concordò per rinviare Maksimov ad una ulteriore revisione del suo caso.
Makhno si stancò presto del
Ravkom di
Aleksandrovsk (tra
le altre cose, non gli avrebbero
permesso di far saltare in aria il carcere) e
decise di far ritorno a Gulyai-Pole col
suo reggimento. Gli altri membri del Revkom andarono alla stazione ferroviaria per
salutarlo – la maggior parte in automobile, Marusya a cavallo.
In stazione il reggimento intonò l’inno della lotta anarchica e poi partirono.
Marusya riuscì a tenere insieme il suo reparto
di Guardie Nere ed iniziò a muoversi in modo autonomo
come comandante militare.
E’ a questo punto che Marusya
diventò una protagonista a livello nazionale e non più una figura di livello
locale.
La Druzhina con licenza di combattimento
Poco dopo il
ritorno di Makhno a Gulyai-Pole,
Marusya propose un’azione unitaria della Federazione di Alexandrovsk con il Gruppo Comunista
Anarchico di Gulyai-Pole
per procurarsi
più armi.
L’obiettivo venne individuato in un battaglione di stanza ad Orekhov dove
gli anarchici
avevano già
avuto
successo in precedenza. I
soldati di questo battaglione, parte
del 48° Reggimento Berdyansk,
erano equamente divisi fra sostenitori della Rada Centrale ucraina e sostenitori del Generale Kaledin.
Anche questa volta l’operazione ebbe
successo. Il comandante regionale bolscevico
Bogdanov fu estasiato da questo esproprio di armi, tra cui dei mortai. Si pensa che
egli desse per
scontato che dal
momento che Marusya era ancora
una deputata del Revkom di Aleksandrovsk, le armi sarebbero finite a lui. Invece tutte le armi finirono
a Gulyai-Pole. Questo incidente segnò la fine della lealtà di Marusya verso
le autorità del Blocco di Sinistra.
D’ora in poi lei iniziò ad agire in
modo indipendente.
Il comandante delle
forze
sovietiche
in Ucraina
era
Vladimir Antonov-Ovseyenko, uno dei pochi bolscevichi ad aver frequentato un’accademia militare. Marusya
godeva
di una
considerevole influenza presso
di lui,
dato che
lo aveva aiutato
a insediare il potere sovietico
in tre importanti città ucraine. Egli l’aveva nominata “comandante di una formazione di reparti di cavalleria nella
steppa ucraina” e le aveva
assegnato un’importante somma di denaro da usare per equipaggiare la cosiddetta
guardia del corpo “Druzhina con licenza di
combattimento”. Mariusya era diventata
la sola
donna al comando di una
grande forza
rivoluzionaria in Ucraina:
una atamansha.La Druzhina venne dotata
di due pezzi di artiglieria pesante e di un
pianale corazzato. Nei vagoni vennero
stipati autoblindo, tachankas
[piattaforme di artigliera, ndt] e cavalli
insieme alle truppe, il che significava che il reparto non era destinato solo ad usare la linea ferroviaria.
I treni vennero addobbati con striscioni: “La liberazione dei lavoratori è opera dei lavoratori stessi”, “Lunga
vita all’anarchia”, “il potere nutre i parassiti” e “l’anarchia è la madre
dell’ordine.”
I soldati godevano di un rancio e di un equipaggiamento migliore di quello delle unità dell’Armata
Rossa. Sebbene non avessero
alcuna divisa, i soldati
avevano un certo senso dello
stile. Capelli lunghi (cosa non
comune in quel periodo), berretti
di pelle
di pecora, giacche
di servizio da ufficiali,
calzoncini rossi e munizioni alla cintura molto in evidenza. La Druzhina era una guardia del corpo composta da un nucleo
di militanti devoti a Marusya e da un gruppo più grande il cui numero cresceva
o diminuiva in modo abbastanza
casuale. Tra i militanti vi era
un discreto gruppo di marinai del Mar Nero,
famosi per le loro qualità di combattenti in tutta l’Ucraina.
Con le loro
bandiere nere ed i cannoni, le
truppe di Marusya sembravano
navi pirata
che solcavano la
steppa ucraina. Un
testimone oculare, il socialista
rivoluzionario di sinistra I.
Z. Steinberg,
paragonò
i treni della Druzhina al vascello Olandese
Volante, in grado di comparire in ogni momento, in ogni luogo.
Spostandosi a scaglioni, la
Druzhina avanzò fino
ad incontrare
i nemici che, nel gennaio 1918, erano
le Guardie Bianche e la Rada Centrale ucraina.
Gli anarchici presero parte all’insediamento del potere sovietico
in Crimea. La Druzhina ed un altro reparto di anarchici prese la città
turistica di Yalta dove
saccheggiò il Livadia Palace. Parecchie
decine di ufficiali nemici vennero uccisi.
Marusya si spostò poi verso Sebastopoli dove c’erano otto anarchici che languivano in carcere.
Le autorità bolsceviche liberarono i prigionieri senza attendere l’arrivo
della atamansha. Marusya passò un
periodo di tempo nella città di Feodosia
dove venne eletta nell’esecutivo
del Soviet Contadino e dove
riuscì ad organizzare altre Guardie Nere.
Le battaglie di Elizavetgrad
Il 28 gennaio 1918, la Druzhina era alle porte di Elizavetgrad,
un’importante città nell’Ucraina
centro-meridionale. La sua presenza impose alla locale organizzazione bolscevica
di occupare il Soviet
della città con un golpe
senza spargimento di
sangue, estromettendo i socialisti rivoluzionari
ucraini ed i Cadetti della locale
scuola ufficiali, fondando così il
proprio Revkom.
Ben presto Marusya si
fece
prendere da una delle sue
classiche reazioni emotive guidate
dall’impulsività. Dopo aver sentito
numerose lamentele riguardanti il commissario militare locale,
il colonnello
Vladimirov, lei andò al suo alloggio
e gli
sparò. Poi organizzò il
saccheggio sistematico dei negozi della città, distribuendo i beni ai poveri. Notando che la gente finiva col prendere cose di cui non aveva
bisogno, autorizzò il baratto di
merci, anche se questo
era stato espressamente vietato dal
bolscevico Revkom.
Successivamente Marusya
incontrò il Revkom di
cui criticò
duramente le attività. Disse
loro che si erano dimostrati “tolleranti verso la borghesia”. Favorì l’esproprio spietato di tutti i beni acquisiti
attraverso lo
sfruttamento del lavoro altrui
e diede una risposta violenta
a qualsiasi tentativo di resistenza. Secondo Marusya, far parte
della classe degli sfruttatori era un crimine
in sè
e, fra questi, Marusya ci metteva anche i membri del Revkom. Minacciò
di chiudere il Revkom e di sparare al suo presidente poichè
la Druzhina si opponeva a qualsiasi tipo di organo di governo
e lei non aveva rovesciato il Soviet precedente solo per farlo sostituire da un altro organo
burocratico.
L’amministrazione bolscevica della città era molto turbata da questo
tipo di discorsi e rispose con tipica modalità burocratica istituendo uno speciale
“Comitato per la
regolamentazione delle
relazioni con Marusya”. Questo comitato
andò a trovarla nel
suo quartiere generale e le chiesero di andare via dalla città, sostenendo che
il Revkom disponeva di forze sufficienti. Marusya rimase molto impressionata da questa minaccia,
ma se ne andò solo dopo alcuni giorni,
non
senza essersi prima impossessata delle armi di una locale scuola ufficiali,
dopo
che il consiglio degli studenti si era
schierato con gli haidamaks.
Il 9 febbraio 1918,
venne
siglato un trattato
di pace
tra
la Rada Centrale
d’Ucraina e le Potenze
Centrali. La Rada Centrale aveva
perso
territori nei confronti degli eserciti del Blocco di Sinistra
ed una
delle disposizioni del trattato
concedeva alle truppe di
Germania ed Austria-Ungheria di portare “ordine”
sul suolo ucraino. Così le
truppe tedesche ed austro-ungariche invasero l’Ucraina e, sostenute dagli haidamaks
della Rada Centrale, procedettero
nel respingere e rastrellare le forze rivoluzionarie.
Nel frattempo ad Elizavetgrad gli
eventi precipitavano tragicamente. La città era sottoposta all’ondata degli orrori della
guerra civile. Con le forze tedesche
alle porte della città, i bolscevichi in fretta avevano cominciato a evacuare le loro truppe e le loro istituzioni, lasciando un vuoto di potere.
Il giorno dopo, fece la sua improvvisa comparsa
in città un Revkom di sinistra, un nuovo governo chiamato “Comitato provvisorio
della rivoluzione” (VKR).
I suoi membri erano
quelli che provenivano dal precedente
soviet che era stato spodestato.
I bolscevichi rimasti in città vennero
arrestati e imprigionati. Le nuove autorità, rendendosi conto che avrebbero
avuto bisogno di
una forza
militare per proteggerli dalla ritirata
delle truppe bolsceviche, reclutarono ufficiali che erano stati in clandestinità e fecero perlustrare
il territorio per reperire il personale militare in congedo. Vennero arruolati i contadini nei villaggi vicini e i loro carri requisiti. Vennero date armi a chiunque avesse voglia di combattere
contro il Blocco di Sinistra ed i
suoi alleati.
Inaspettatamente la Druzhina fece ritorno in
città. I reparti di Marusya erano in piena
efficienza e disponevano di cinque
autoblindo. Agli inizi
ci furono
parecchi giorni di pace tra
le nuove autorità
cittadine e gli anarchici. La Druzhina occupò la stazione ferroviaria dove
si potevano
ascoltare di continuo canzoni
anarchiche. Ogni giorno gli anarchici mandavano in giro un camion a fare colletta di
“contributi” da parte della borghesia.
I prigionieri bolscevichi rimasero in carcere.
Poi ci fu una crisi. Ci fu una rapina alla grossa fabbrica Elvorta:
40.000 rubli erano stati rubati dall’ufficio-paghe
e gli operai non poterono ricevere il loro salario. Circolarono voci fuori
controllo che davano la colpa agli anarchici che volevano vendicarsi sulla città per i bolscevichi ancora chiusi in carcere. Marusya decise di andare di persona in fabbrica per spiegare agli operai la situazione provocata evidentemente da elementi di destra.
La sala riunioni era stracolma
quando Marusya arrivò (la fabbrica contava su
una forza-lavoro
di circa
5000 operai). Lasciando
la sua scorta all’ingresso, lei entrò nella sala e salì sul palco. Ma non le fu permesso di usare le sue capacità
oratorie; c’erano un urlare
e bestemmiare continui. Frustrata
dal fatto
che non
la facessero
parlare, Marusya
tirò
fuori le due pistole dalla
cintura
ed aprì il fuoco al di sopra delle
teste dei presenti. Scoppiò il panico. Le porte
vennero abbattute e la gente saltava
dalle finestre rotte. La scorta di Marusya entrò nella sala e la portò
via. Sulla via del ritorno
verso la stazione la sua auto venne incendiata e lei rimase leggermente
ferita.
Le sirene di
allarme risuonavano in tutta
la città
e la
milizia del nuovo governo avanzò verso la stazione
ferroviaria. Ci furono ore di
combattimenti di strada. Ci furono molti
feriti dato che gli anarchici si difendevano con
mitragliatori
e granate.
Ma furono
più volte sovrastati dagli aggressori e Marusya fu costretta ad operare una difficile ritirata verso la steppa, fermandosi a Kanatovo, la prima stazione ferroviaria lungo la linea. A questo punto Marusya si rese
conto che alcuni dei suoi soldati erano
stati fatti prigionieri, per cui decise di tornare
in città ad impegnare il nemico per liberare i suoi.
Infine arrivarono le forze bolsceviche dal fronte sotto il comando di Aleksandr Belenkevich, un ufficiale
di alto rango, e pretesero la
resa della città. La sua
richiesta venne respinta, egli
avanzò spavaldamente
fino al centro
della città dove le sue truppe vennero
attaccate da tutti i lati. Dopo tre-quattro ore di scontri, l’unità di Belenkevich era stata
quasi spazzata via e molti dei
suoi soldati erano stati fatti prigionieri. Lo stesso Belenkevich riuscì a malapena a fuggire in treno. Le autorità cittadine iniziarono ad uccidere
alcuni prigioneri. Le loro
forze erano ora al
comando di due generali in pensione.
Marusya avanzò verso la
città da nord lungo la
linea ferroviaria ma,
trovando resistenza
nella periferia della città, desistette e si trincerò. Il VKR ora
disponeva di migliaia di soldati
sotto lo slogan “Abbasso l’Anarchia!”. Avevano
sia artiglieria leggera che pesante, mitragliatori e persino
tre aerei.
Allo scopo
di far
indignare la popolazione, venne messa in giro la storia che
Marusya saccheggiava le chiese portandosi via le icone e venne dipinta
come il capo di una banda di ladri.
Una guerra di logoramento
si svolse appena fuori dalla città su
un fronte lungo diversi chilometri. C’erano mitragliatrici automatiche e fuoco di artiglieria. Il proprietario di una distilleria, Makeev,
mise a disposizione quantitativi illimitati di alcol per le truppe in difesa.
Per rinfoltire i ranghi con altra carne
da cannone, fu perlustrata la città
a caccia di scansafatiche, che vennero scortati verso il fronte. C’erano
due linee di trincee: la linea posteriore era presidiata da ufficiali con mitragliatrici
il cui compito era quello di bloccare
qualsiasi ritirata.
Per due giorni (24-25 febbraio
1918) la battaglia ebbe fasi
alterne. Il 26 febbraio Marusya ricevette
rinforzi sostanziali da un distaccamento
della Guardia Rossa dalla
città di Kamensk, mille
operai con una batteria
leggera
e mitragliatrici. Avanzarono per
l’attacco insieme alle truppe di Marusya.
Le Guardie Rosse non se la cavarono bene nella
battaglia. Persero la loro artiglieria e le
mitragliatrici
che
finirono nelle mani
delle truppe
del VKR e 65 di loro vennero fatti
prigionieri. Nel frattempo, l’artiglieria dei difensori aveva
il vantaggio della ricognizione fatta
dagli aerei, che sganciavano anche bombe. L’attacco
anarchico si impantanò molto
presto nelle trincee nemiche. Furono costretti a ritirarsi ulteriormente, fino alla stazione di Znamenka. Lì trovarono
un nuovo distaccamento sotto il comando del colonnello Muraviev
della Sinistra Socialista-Rivoluzionaria, che aveva conquistato Kiev qualche giorno
prima togliendola al controllo della
Rada
centrale per consegnarla al Blocco di sinistra.
Le autorità del VKR in città
si schierarono con la Rada centrale e inviarono
emissari in direzione delle forze
tedesche ed ucraine in avvicinamento per chiedere un intervento immediato. Ma era già troppo
tardi. Per fermare Marusya a nord della città, il VKR aveva
sguarnito il lato sud. Un treno blindato denominato “Libertà o morte”
entrò in città sotto il comando del marinaio bolscevico Polypanov. Le unità
di guardia in città fuggirono
senza dare battaglia. I marinai si rivolsero direttamente alle autorità del VKR e chiesero la liberazione di tutti i prigionieri, tra cui i soldati di Marusya. Il VKR fu costretto ad ubbidire.
Le truppe del VKR a nord della città si resero conto che
la città era effettivamente nelle mani dei bolscevichi.
Marusya e Muravyev ora poterono
entrare in città. Ci furono ancora
saccheggi e non solo da parte
degli anarchici. Ma non ci
furono rappresaglie di massa;
infatti Polypanov disse in
una assemblea
pubblica che la
battaglia di tre giorni era stato
il frutto
di un
malinteso. I Rossi rimasero al potere in Elizavetgrad fino alla notte del 19 marzo 1918, quando abbandonarono la città. Tre giorni dopo
giunse il primo treno tedesco. Le battaglie
a Elizavetgrad
erano tipiche
della guerra civile in
Ucraina - incontri disperati tra avversari
fanatici, con il classico terzo
più potente che si prendeva il bottino. Elizavetgrad era destinata a passare di mano diverse
volte
prima che i bolscevichi alla fine
riuscissero a prendere il sopravvento.
La lunga ritirata
Il Blocco di sinistra
tentò di organizzare la resistenza
alle forze tedesche in
nome del governo
fantoccio che aveva
istituito a Khar’kov.
Fu uno scontro molto impari: stando solo ai numeri, le armate tedesche e i loro
alleati contavano da 400.000 a 600.000 soldati contro le forze di sinistra del Blocco di circa 30.000 soldati, tra cui diverse
migliaia nei battaglioni anarchici. Tuttavia c’era molto più di una mera resistenza simbolica tanto che per occupare l’Ucraina, le
potenze centrali impiegarono
la maggior
parte della primavera del 1918.
La Druzhina si fermò nella città di Berezovka nel sud dell’Ucraina
e cercò di estorcere una grossa somma di denaro agli abitanti.
La
resistenza a Marusya giunse da un avversario improbabile, un
distaccamento anarchico
rivale guidato
da Grigori
Kotovsky. Kotovsky era stato un vero bandito prima
della rivoluzione,
quando comandava
una banda
specializzata in rapine a mano
armata e ricatti.
La rivoluzione lo aveva salvato dall’esecuzione. Ma ora insisteva
perchè gli abitanti di Berezovka non
dessero a Marusya neanche un soldo. Data la sua superiore
potenza di fuoco, Marusya
fu costretta a fare marcia indietro.
La Druzhina
ora non usava più i treni e si spostava per il paese come
unità di cavalleria. Il distaccamento faceva
una buona impressione dato che i cavalli erano
stati disposti in base al colore: “Una fila di neri, una fila di bai, e una fila di bianchi - e poi di nuovo, neri, bai
e bianchi e, fanalino di coda,
c’erano i fisarmonicisti seduti sulle
tachankas piene di tappeti e pellicce.
“ Marusya stessa montava un cavallo bianco
e molti dei soldati erano vestiti completamente in pelle, mentre altri ancora avevano uniformi
da marinaio. Come
al solito la Druzhina suscitava l’invidia
delle Guardie Rosse che la apostrofavano con epiteti come “matrimonio di cani” o nomi ancora
peggiori.
Un appuntamento per la ritirata dei distaccamenti rossi era stato
stabilito in una vasta tenuta vicino
al villaggio di Preobrazhenka.
Quando Marusya arrivò, trovò in carica un comandante rosso, Ivan
Matveyev. Convocata nel suo ufficio, gli disse che era disposta
a prendere ordini da lui “fino al momento in cui tutti i distaccamenti fossero arrivati
e fosse chiaro chi avesse
il maggior
numero di uomini.”
Tutta la sua preoccupazione, disse a Matveyev, andava
alla distribuzione dei beni trovati nella tenuta,
a partire dall’abbigliamento. Aveva
già effettuato
un inventario
degli abiti, giacche, gonne appesi nei grandi armadi. “La proprietà dei possidenti”, disse, “non appartiene a nessun
distaccamento in particolare, ma al popolo
nel suo complesso. Lasciate
che il popolo prenda quello che vuole.”
Mateveyev, visibilmente infastidito, si rifiutò “per principio” di
discutere di “stracci”.
Marusya se ne andò, sbattendo la
porta.
I bolscevichi decisero di disarmare la Druzhina prima dell’arrivo
di altri eventuali
anarchici. Convocarono
un incontro generale di
tutti i distaccamenti in cui intendevano circondare gli anarchici e disarmarli.
Si trattava
di un
grande raduno all’aperto nel
centro della tenuta. Marusya vi partecipò con alcuni dei suoi, ma non
con tutti i suoi soldati. I bolscevichi iniziarono a parlare della necessità di unità e disciplina. Marusya capì dove volevano andare a parare e quando uno degli oratori iniziò a lamentarsi degli anarchici,
ella diede il segnale di andarsene. Quando i bolscevichi alla fine emisero l’ordine
di circondare
gli anarchici,
questi se ne erano già
andati dalla tenuta con i loro cavalli
e le tachankas.
La Druzhina raggiunse una linea ferroviaria e salirono sui treni a scaglioni. Marusya aveva deciso di dirigersi verso la sua città natale,
Aleksandrovsk, per cercare di
difenderla dagli invasori tedeschi. La città era piena di distaccamenti della Guardia Rossa in ritirata. Dal momento che Marusya se ne era andata poche settimane
prima, i rapporti tra la
Federazione
Anarchica e i bolscevichi non erano buoni. Tuttavia i bolscevichi erano felici di vedere
Marusya grazie alla sua reputazione di guerriera.
Il 13 aprile 1918,
unità ucraine dei Sich Fucilieri
(corpo volontario su base etnica, ndt) fecero irruzione nella città e presero la stazione
ferroviaria. In un magazzino
vicino, venne trovato
il cadavere di una giovane donna, vestita di pelle. Una voce subito si diffuse per
la città: che la famosa Marusya era stata uccisa. Invece Marusya aveva preso parte alla
battaglia, ma era viva e vegeta. Il
giorno dopo i fucilieri furono
cacciati dalla città e costretti a fuggire lungo il Dnepr in barca.
Il 18 aprile, alla fine, i Tedeschi entrarono in Alexandrovsk. La
Druzhina fu l’ultimo reparto
militare a lasciare
la città al suo destino.
Dirigendosi ad est, la Druzhina
si fermò
alla stazione
di Tsarekonstantinovka
dove
Marusya incontrò uno sconsolato
Nestor Makhno. Un colpo di stato militare
nazionalista a Gulyai-Pole aveva
appena portato all’arresto del Revkom locale e del Soviet mentre Makhno era assente. Marusya propose
una missione di salvataggio,
ma sapeva che non poteva compierla da sola. Aveva già telegrafato al marinaio Polypanov, che rifiutò di darle il suo aiuto, così come fece il marinaio
Stepanov che stava passando
anche attraverso la
stazione con un treno pieno di profughi. Infine mise insieme
un distaccamento della Guardia
Rossa
siberiana guidata da Petrenko. Marusya disponeva ancora di
un paio
di carri
armati, che si proponeva di utilizzare come punta di diamante per l’attacco
(Gulyai-Pole
era a otto chilometri dalla stazione
ferroviaria più
vicina). Proprio in quel momento
Marusya ricevette la notizia
che i tedeschi avevano
occupato Pologi, proprio sulla linea
che avrebbe dovuto usare per
arrivare a Gulyai-Pole.
Dovette
abbandonare il suo piano e spostarsi più a est.
Il processo di Taganrog
I distaccamenti bolscevichi
e anarchici in Ucraina
orientale si diressero tutti a Taganrog sul
mare di
Azov, sede
del governo
sovietico ucraino fuggitivo. I bolscevichi non avevano più speranze di reinsediarsi in qualsiasi parte
del paese e, per quanto
li riguardava,
le truppe anarchiche non erano più necessarie. Infatti,
gli anarchici, con la loro
costante contestazione della politica del partito-stato, rappresentavano
una scomoda tendenza ideologica.
Le autorità di
Mosca avevano già
provveduto a sbarazzarsi dei
loro fastidiosi alleati. Il 12 aprile 1918, la Federazione dei gruppi
anarchici di Mosca era
stata soppressa e quasi 400 persone
arrestate. I bolscevichi avevano propagandato questo evento come
un’azione di polizia contro elementi criminali, piuttosto che come l’eliminazione di un competitore politico. Gli anarchici
in Russia erano troppo deboli per contrastare questa azione,
ma in Ucraina
era tutta un’altra
storia.
Giunta a Taganrog, Marusya si ritrovò accusata di aver abbandonato
il Fronte (contro i tedeschi) senza permesso. Il compito
di arrestare lei e disarmare
la Druzhina
toccò all’unità della Guardia Rossa comandata da Kaskin. Marusya venne arrestata presso la sede del Comitato esecutivo
centrale dell’Ucraina.
Mentre veniva scortata dal palazzo, incontrò il noto
bolscevico V. Zatonsky.
Lei gli chiese perché era stata arrestata. Quando Zatonsky
le rispose: “Non ne ho idea,”
Marusya gli sputò e lo definì un
“bugiardo ipocrita”.
Il disarmo della Druzhina
non avvenne senza intoppi. Le truppe si rifiutarono di trasferirsi nella brigata di Kaskin e volevano sapere dove si trovava Marusya. La Federazione Anarchica di Taganrog
ed il continuo arrivo di distaccamenti anarchici ponevano ai bolscevichi la questione di giustificare le loro azioni.
Anche i socialisti rivoluzionari di sinistra locali supportarono gli anarchici.
Contattato dagli anarchici, il bolscevico comandante-in- capo
Antonov
Ovseyenko
inviò un
telegramma di sostegno:
“Il distaccamento di Maria Nikiforova, e la stessa compagna
Nikiforova mi sono ben
noti, e invece di sopprimere tali
formazioni rivoluzionarie dovremmo crearle.” Telegrammi
di sostegno
giunsero anche da diversi altri comandanti della Guardia Rossa. E a Taganrog arrivò un treno blindato
sotto il comando dell’anarchico Garin, amico personale di
Marusya.
L’accusa principale dei bolscevichi contro Marusya era il saccheggio di Elizavetgrad sia prima che dopo
la rivolta dei nazionalisti in città. L’altra
accusa principale era di aver abbandonando il Fronte, anche
se le
truppe di
Kaskin
avevano
lasciato il
Fronte prima
di Marusya. Gli anarchici erano indignati per l’ipocrisia dei bolscevichi
che avevano utilizzato la forza degli anarchici in prima linea nella
guerra civile, mentre li accoltellavano
alla schiena nelle retrovie.
Un “giurì d’onore rivoluzionario” si tenne a fine aprile 1918.
Il giurì era composto da due bolscevichi locali,
due socialisti rivoluzionari
di sinistra locali,
e due rappresentanti del governo del
Blocco di sinistra dell’Ucraina.
I bolscevichi presentarono una serie di
testimoni che accusarono Marusya di reati punibili
con la morte. Ma c’erano anche molti testimoni della difesa nell’aula
gremita, persone che contestarono
le dichiarazioni
dei testimoni
dell’accusa e che parlarono dei servizi resi da Marusya alla Rivoluzione. L’anarchico Garin aveva
notato che Marusya aveva
fiducia nella giustizia del tribunale rivoluzionario e aggiunse: “Se solo pensassi che lei non avesse
questa
fiducia,
il mio
distaccamento la libererebbe con
la forza.”
In definitiva
Marusya
venne assolta da
tutte le
accuse
e alla
Druzhina furono restituite
le armi.
Marusya
e Makhno (presente anche lui a Taganrog)
organizzarono una serie di
conferenze nel teatro locale e in vari luoghi
di lavoro
sul tema:
“La difesa
della rivoluzione - contro l’esercito austro-tedesco al fronte - contro
le autorità governative
nelle retrovie”. I due pubblicarono anche un opuscolo su
questo argomento.
Marusya e Makhno poi si
separarono.
Makhno ed altri rifugiati
provenienti da Gulyai-Pole decisero di tornare a casa e portare avanti una
lotta clandestina contro i tedeschi
e la Rada centrale. Alcuni dei
soldati di Gulyai-Pole aderirono alla Druzhina. La pressione tedesca presto costrinse
i bolscevichi e gli anarchici a ritirarsi a
Rostov-
sul-Don. Gli anarchici
avevano raccolto documenti
preziosi nelle banche locali -
atti, contratti di finanziamento e
obbligazioni - e li bruciarono in un falò nella piazza principale. (Alcuni
cinici ebbero a notare che la carta moneta era
stata risparmiata.)
Un testimone oculare descrisse gli uomini di Marusya: “Sembravano spagnoli
con i capelli lunghi e mantelli neri
... Un
paio di grandi pistole
alla cintura, portavano in tasca delle granate. I più giovani
indossavano i pantaloni
a zampa di elefante e.. braccialetti d’oro
... “.
Finalmente l’avanzata
tedesca si era fermata e la
lunga ritirata poteva
finire. Ma ora i bolscevichi avevano
raggiunto territori dove
potevano contare sulla superiorità
numerica e potevano disarmare in sicurezza
gli anarchici.
Marusya aveva capito cosa
stava
per succedere ed
evitò la trappola. La Druzhina compì un
viaggio pericoloso verso nord
attraverso
la regione
del Don,
viaggiando lungo una linea ferroviaria
parzialmente controllata da Bianchi Cosacchi, per raggiungere la città russa di Voronezh, dove si stava
formando un nuovo fronte.
E’ difficile ricostruire i movimenti
di Marusya nei mesi successivi.La
Druzhina passò per diverse città
russe al confine con l’Ucraina.
Finchè i Tedeschi occupavano l’Ucraina, era impossibile per Marusya compiere azioni alla luce del sole nel
suo paese.
Giudicando la
Rada centrale troppo
radicale per i loro gusti, gli
imperialisti tedeschi la sostituirono con un governo fantoccio
guidato dall’atamano Skoropadsky. Ma nel mese di novembre 1918, i
tedeschi persero la guerra mondiale. Come previsto dall’armistizio erano tenuti
ad evacuare l’Ucraina.
Il governo
di Skoropadsky
rapidamente crollò e venne sostituito
dal Direttorio, un
gruppo nazionalista più radicale il cui leader era Simon Petliura. L’Ucraina era ormai
vulnerabile ad un’altra invasione bolscevica nonché
ad avventurieri come Marusya e contadini insorti come i makhnovisti.
Nell’autunno del 1918,
la Druzhina
prese parte alla battaglia di
una forza mista che assediò
Odessa occupata dai Bianchi che
si erano
impadroniti della città, nel vuoto di potere causato dal ritiro dei Tedeschi. Marusya diede fuoco alla prigione di Odessa. Questa occupazione di Odessa fu di breve durata; i Bianchi, con il sostegno delle truppe alleate (francesi e greche) ne ripresero presto
di nuovo il controllo.
Il processo di Mosca
Marusya si spostò nella città russa di Saratov, dimora
temporanea per molti rifugiati anarchici
dall’Ucraina. Qui venne arrestata
per ordine del Soviet locale e la Druzhina venne disarmata. Durante il Terrore Rosso che infuriava in quel momento (in
seguito al tentato assassinio di Lenin
da parte di un socialista rivoluzionario), Marusya
avrebbe potuto anche essere
uccisa senza processo. A quanto pare i cekisti
[membri della Ceka, polizia politica
sovietica, ndt]
locali erano riluttanti a
uccidere un’ “eroina della rivoluzione”, che pare avesse conosciuto Lenin a Parigi
prima della Rivoluzione.
Marusya venne
trasferita a Mosca
e rinchiusa nella prigione di Butyrki (dove
Makhno aveva trascorso molti anni). Ma
presto ne uscì sotto cauzione
a dimostrazione che aveva
ancora amici in alto loco. L’anarchico Karelin ed il bolscevico Antonov-Ovseyenko erano disposti a garantire per lei. Anche suo marito,
l’anarchico polacco Bzhostek, si trovava a Mosca. Come molti ex-residenti dell’impero russo con
credenziali rivoluzionarie, gli era stato
dato un
lavoro
importante nella nuova amministrazione. In attesa del processo,Marusya ebbe la possibilità di iscriversi al Proletcult, un movimento ufficialmente riconosciuto che incoraggiava i lavoratori a sviluppare il proprio talento artistico.
Marusya venne
processata a Mosca il 21-23 gennaio 1919 da un tribunale “d’onore rivoluzionario”. I bolscevichi, sotto la pressione del loro governo
fantoccio ucraino, reiterarono
le accuse per cui lei era già stata assolta
a Taganrog. Il governo bolscevico ucraino aveva istituito una commissione speciale per
indagare sui suoi “crimini”. Secondo il presidente di questa commissione, Yuri Piatakov, la Druzhina aveva “smobilitato la difesa contro i Tedeschi e le Guardie Bianche” mentre la stessa Marusya “con la scusa della difesa del
proletariato si era data
al saccheggio. Per cui ella
era semplicemente una bandita che operava sotto la bandiera del potere sovietico
“.
Secondo l’accusa,
“M. Nikiforova senza il consenso
dei Soviet locali aveva ordinato in molte città
requisizioni nei magazzini della marina, in negozi
privati e società; aveva imposto ai proprietari terrieri consistenti contributi di denaro. Si era impadronita di pistole e altre
armi abbandonate
dagli haidamaks. Quando i soviet le
avevano espresso le loro rimostranze, lei li aveva minacciati, circondando le sedi dei
soviet con le mitragliatrici e arrestando i membri dei
comitati esecutivi. La sua brigata aveva ucciso un comandante delle truppe e lei stessa aveva condannato a morte, per non aver eseguito
i suoi ordini, il presidente
del soviet di Elizavetgrad
insieme ad altri.”
Il suo vecchio amico
Karelin
testimoniò come testimone etico a favore, descrivendola come persona disinteressata: “.. Tutto quello
che aveva lo dava anche a compagni che conosceva a malapena. Non avrebbe tenuto un soldo
per sé. Donava tutto
....”
Karelin
aggiunse che lei era completamente
astemia.
Il verdetto venne
reso pubblico sulla Pravda
il 25
gennaio 1919. Marusya venne dichiarata
colpevole di
“aver screditato
il potere
sovietico con le sue azioni e
con quelle della sua brigata in diversi
casi e di insubordinazione rispetto ai soviet
locali nella sfera delle attività militari.” Venne assolta
dall’accusa di saccheggio e di requisizioni illegali.
Marusya avrebbe potuto facilmente essere fucilata per i crimini
per cui era
stata condannata. Tuttavia, il
tribunale la condannò “alla privazione del diritto di occupare posti di responsabilità per sei mesi a partire dalla data della sentenza.” Il tribunale precisò che aveva
tenuto in considerazione i servizi di Marusya nella lotta
per il potere sovietico e
nelle operazioni contro i Tedeschi.
Il ritorno a Gulyai-Pole
Anche se la sentenza era stata mite, per Marusya era un peso.
Sei mesi erano un lungo periodo di
tempo in condizioni di guerra civile.
Così quasi subito si diresse verso
Gulyai-Pole dove Makhno aveva costituito una
enclave anarchica scacciando i Bianchi ed
i nazionalisti. Makhno aveva concluso un accordo con i bolscevichi in data 19 febbraio 1919,
che gli dava la libertà
di costruire una società
anarchica. I piani a breve termine
di Makhno non prevedevano uno scontro con i bolscevichi. Quindi non fu particolarmente felice
quando Marusya si presentò da lui, conoscendo le sue cattive relazioni con i bolscevichi. Makhno
le chiarì che egli aveva intenzione di rispettare
le condizioni della sua sentenza. Le chiese di dare il suo contributo occupandosi di asili, scuole, ospedali,
piuttosto che di questioni militari.
Uno spiacevole incidente
si verificò al 2 ° Congresso dei Soviet di Gulyai-Pole nella
primavera
del 1919.
Marusya, pur non essendo una
delegata, chiese la parola. Quando
iniziò ad attaccare i
bolscevichi, i contadini ne rimasero sconvolti.
In quella fase erano più preoccupati per i Bianchi,
mentre i bolscevichi erano loro alleati.
Makhno, sempre un po’ demagogo quando si trattava di contadini, la trascinò fisicamente giù dal podio.
Nonostante le loro pubbliche divergenze,
Marusya
e Makhno continuarono a lavorare insieme.
Marusya fece dei viaggi
a Aleksandrovsk, nominalmente sotto il controllo
bolscevico, città che
Makhno sperava di includere nella sua sfera di influenza. I bolscevichi
reagirono arrestando gli anarchici che lei ebbe a incontrare, anche se non era ufficialmente
considerata come una nemica del
potere sovietico.
Nella primavera del 1919, Gulyai-Pole ricevette l’ispezione di diversi dirigenti bolscevichi di alto livello,
tra cui Antonov-Ovseyenko, Lev Kamenev, e Kliment
Voroshilov. In queste occasioni, Marusya cercò di
ingraziarsi Kamenev e i suoi visitatori e fece pressioni per ridurre a tre
mesi la condanna inflittale dal tribunale di Mosca. A quanto pare ebbe successo. Queste visite da parte dei dirigenti
bolscevichi avevano uno scopo sinistro: stavano cercando
di capire
quando smettere di usare i makhnovisti come carne da cannone
contro i Bianchi
per procedere poi alla
loro liquidazione. I bolscevichi
avevano già
soppresso le organizzazioni anarchiche nelle città ucraine sotto il loro controllo. Agli anarchici era stato proibito di tenere riunioni o conferenze, le loro tipografie erano state
chiuse e venivano arrestati con qualsiasi
pretesto. Ciò aveva portato a un afflusso
di anarchici dalle altre città
ucraine a Gulyai-Pole e nei territori controllati dai makhnovisti.
Il ritorno alla
clandestinità ed al terrorismo
Dopo che la sentenza
le era stata ridotta,
nel maggio 1919 Marusya si recò nel porto di Berdyansk sul Mar d’Azov, dove organizzò una nuova brigata utilizzando
militanti fidati del contro-spionaggio di Makhno e rifugiati anarchici
dalle città. Tra i membri di
questo gruppo c’era suo marito Bzhostek. Era venuto in Ucraina non per
sua moglie, ma per reclutare terroristi esperti per un gruppo clandestino a
Mosca.
Ai primi di giugno Makhno e il suo staff militare vennero dichiarati fuorilegge da parte dello Stato sovietico. Fu un periodo
incredibilmente duro per
gli anarchici
ucraini. Mentre
stavano
combattendo una battaglia persa contro i Bianchi a est, venivano ora attaccati alle spalle dai bolscevichi.
Makhno reagì cercando di recuperare
un po’ di agibilità militare. Marusya
aveva
altri piani.
Non essendo più in grado di mettere in campo una forza militare
regolare, Marusya aveva
deciso di lanciare una guerra
clandestina contro i suoi nemici. Ma prima aveva bisogno di soldi. Avendo saputo
della condizione di fuorilegge di Makhno, lei ed i suoi lo raggiunsero
nella stazione di Bolshoi Tokmak.
Incontrò Makhno nel suo vagone ferroviario,
gli chiese soldi per le sue attività terroristiche. Makhno imprecò e tirò
fuori un revolver. Ma era
troppo lento - Marusya aveva
già tirato
fuori la sua pistola. Dopo
un’aspra discussione, Makhno le diede 250.000
rubli dalle sue casse e le disse di non farsi
più vedere.
Marusya divise il suo gruppo
in tre sezioni
di circa 20 uomini ognuno.
Un gruppo comandato da Cherniak
e Gromov venne inviato in Siberia per far saltare in aria il quartier generale di Kolchak,
il dittatore dei Bianchi. Giunsero in Siberia
ma non riuscirono a eliminare
Kolchak e finirono per aderire
al movimento partigiano contro i
Bianchi.
Il secondo gruppo, comandato
da Kovalevich
e Sobolev venne mandato a nord per liberare i makhnovisti prigionieri e far saltare in aria il quartier
generale della
Ceka [famigerata polizia
politica bolscevica fino al 1922, poi GPU fino al 1934, poi NKVD fino al
1954, poi KGB fino al 1991, ed oggi FSB, ndt]. Ma i prigionieri erano già stati
uccisi ed i cekisti avevano abbandonato
la città.
Così il
gruppo si spostò a Mosca per organizzare un attentato terroristico contro la dirigenza bolscevica. Per preparare e finanziare l’attentato compirono rapine a mano armata a Mosca e nelle città
circostanti. Il 25 settembre
1919, fecero esplodere una bomba
durante una
riunione del Comitato
di Mosca del partito bolscevico, uccidendo
12 persone e ferendo 55
membri di primo piano del partito.
Nella caccia all’uomo che ne seguì, il gruppo venne
spazzato via. Dopo che Kovalevich
e Sobolev erano stati
uccisi durante scontri a fuoco, il resto del gruppo si era rintanato in una dacia dove
scelse di farsi saltare in aria insieme a un certo numero di cekisti.
Il terzo gruppo,
comprendente Marusya e Bzhostek, si
diresse in Crimea, allora sotto il
controllo dei Bianchi, con l’intenzione di far saltare in aria il quartier generale di Denikin, generale e capo delle armate dei Bianchi nella Russia meridionale. In quel momento,
il quartier
generale
di Denikin si
trovava
a Rostov-sul-Don,
ma Marusya potrebbe aver cercato aiuto finanzario o altro, presso gli
anarchici di Crimea.
L’ultimo processo
Gli ultimi giorni
di Marusya
sono stati
a lungo oggetto di varie leggende, derivanti dal fatto che gli eventi
nella Crimea in mano ai Bianchi erano
alquanto sconosciuti ai rivoluzionari.
I makhnovisti Chudnov e Belash riferiscono versioni contrastanti, come ha fatto anche Antonov-Ovseyenko.
Solo negli ultimi anni sono venuti
alla luce documenti che hanno chiarito il mistero.
L’11 agosto
1919, Marusya venne riconosciuta per strada a Sebastopoli ed arrestata insieme a suo marito
dai Bianchi. Il gruppo di Marusya, disperando di riuscire a salvarla, si diresse
verso la regione del Kuban, dove prese parte
ad attività partigiane contro le retrovie dei Bianchi.
L’arresto
di Marusya fu
un grande
colpo per il contro-spionaggio dei Bianchi che impiegò un mese a raccogliere le prove necessarie per processarla (cosa difficile in condizioni di guerra civile). Il suo processo, in realtà una sorta di corte marziale, si tenne il 16
settembre 1919, con
alla presidenza il generale
Subbotin, comandante della fortezza
di Sebastopoli. L’atto d’accusa diceva:
I. che la persona che si fa
chiamare Maria Grigor’evna Bzhostek,
nota anche come Marusya Nikiforova, deve rispondere delle seguenti
accuse: che durante il periodo
1918-1919, mentre era al comando di un distaccamento di comunisti anarchici, aveva aperto il fuoco
su ufficiali e pacifici abitanti, e che aveva scatenato sanguinose e spietate rappresaglie
contro la borghesia ed i contro-rivoluzionari.
Nello specifico:
nel 1918 tra
le stazioni di
Pereyezdna e Leshchiska aveva dato
l’ordine di fucilare parecchi ufficiali
ed,
in particolare, l’ufficiale
Grigorenko;
nel novembre
1918 aveva fatto
irruzione nella città di Rostov-
sul-Don con un distaccamento di anarchici, incitando la
folla a effettuare sanguinose rappresaglie contro
la borghesia ed i contro- rivoluzionari;
nel dicembre 1918, al comando di un distaccamento in armi, aveva partecipato
insieme alle truppe di Petliura
alla presa
di Odessa,
dopo di che aveva partecipato
all’incendio del carcere di Odessa, dove trovò la morte tra le fiamme il capo delle guardie carcerarie, Pereleshin;
nel giugno 1919 nella
città di Melitopol’ 26 persone, tra cui un certo
Timofei Rozhkov,
erarno state fucilate dietro suo
ordine.
Queste le accuse, sulla base dei crimini previsti dagli articoli 108 e
109 del codice penale
dell’Esercito Volontario.
II. Vitol’d Stanislav Bzhostek è accusato, non di aver preso parte a quanto sopra enunciato nella
Parte I, ma di esserne al corrente e di
aver protetto M. Nikiforova
dall’azione delle autorità.
Entrambi furono
dichiarati
colpevoli e condannati a morte. Come implicito
nelle accuse contenute nella Parte
II, V. Bzhostek venne condannato per il “crimine” di essere
il marito di Marusya.
Secondo i giornalisti
presenti al processo, Marusya tenne un
atteggiamento di sfida nel corso del procedimento e giurò davanti alla
corte solo dopo che la sentenza era stata
letta. Ebbe un attimo
di cedimento solo quando disse addio al marito.
Vennero entrambi fucilati.
Il giornale
“Aleksandrovsk Telegraph” (la città era in quel momento in territorio dei Bianchi) lanciò
entusiasta così la notizia della sua morte
il 20
settembre: “Un altro pilastro dell’anarchismo
è stato spezzato, un altro
idolo della nera anarchia
è stato tirato giù dal suo piedistallo ....La leggenda circonda
questa ‘zarina dell’anarchismo’. Più volte è stata ferita, più volte la sua testa è stata tagliata, ma,
come la
leggendaria Idra, ne
aveva
sempre una nuova.
Lei sopravviveva ed era, di nuovo, pronta a versare più sangue .... e se ora nella nostra provincia
gli eredi della Makhnovshchina, gli avanzi
di questo male
velenoso, stanno ancora
cercando di impedire la rinascita di una società
normale e si stanno sforzando
di ricostruire ancora
una volta il
governo sanguinario
di Makhno, quest’ultimo
colpo significa che stiamo assistendo
al banchetto
funebre sulla tomba della Makhnovshchina”.
Due settimane dopo la
pubblicazione di questo articolo,
l’Esercito Insorgente Makhnovista cacciava i Bianchi
da Aleksandrovsk
e prendeva la città.
La leggenda continua
Dato che Marusya era sfuggita
alla morte più di una
volta,
la gente faceva fatica a credere che fosse veramente morta. Questo scetticismo creò le
premesse perchè apparissero false Marusya.
Ci furono almeno altre tre atamansha
attive durante la Guerra Civile
e pare che esse facessero uso
del terrore
evocato dal
nome di
Marusya:
(1) Marusya Chernaya comandò
un reggimento
di cavalleria nell’Esercito Insorgente Makhnovista tra
il 1920 ed il 1921. Morì in battaglia contro i Rossi.
(2) Marusya Sokolovskaia, una maestra nazionalista ucraina
di 25 anni, prese il comando
di un distaccamento di cavalleria
dopo la morte del fratello
in battaglia. Venne catturata dai Rossi
e fucilata.
(3) Marusya Kosova
fu una
atamansha nel corso della rivolta contadina di
Tambov nel
1921-1922. Dopo la repressione della rivolta, non si è
saputo più nulla di lei. Un’altra
leggenda parla di Marusya quale
agente segreto sovietico.
Secondo questa storia, lei venne mandata
a Parigi
in incognito
per partecipare all’assassinio del capo nazionalista ucraino Simon Petliura. Petliura venne ucciso da un ex-membro del distaccamento
anarchico di Kotovsky.
La sola
verità
in questa
storia potrebbe essere solo il fatto che gli anarchici si ritrovavano
a lavorare per i boscevichi.
Maria Nikiforova rappresenta il
lato distruttivo dell’anarchismo, spazzare
via il
vecchio per costruire il nuovo. Lei,
però, non era insensibile verso l’altro
lato dell’anarchismo, quello edificatore (vedi appendice), ma non ha
mai goduto
della tranquillità necessaria per portare avanti un
lavoro costruttivo. Anche
se lei
non ebbe
influenza sul corso
finale della rivoluzione
russa, avrebbe potuto anche
averla, dato che era
sempre pronta ad agire in
nome dei
suoi principi nei momenti chiave. Usò il suo notevole
talento per combattere legioni
di nemici, ma alla fine ha dovuto soccombere ad una lotta impari. Le due
fotografie di
Marusya sono state probabilmente fatte a Elizavetgrad
nel 1918.
Sul retro
di una
c’è scritto:
“Non pensate male di me. – M. Nikiforova”.
Appendice
Nel dicembre 1918, Marusya partecipò
al primo Congresso
di tutti i comunisti anarchici russi a Mosca.
Quello che segue è il suo breve intervento che è stato riportato nel verbale:
“Guardando al modo in cui gli anarchici vivono la loro vita, mi sento
depressa per quante carenze vedo nel loro lavoro. Qual è la causa di tutto
questo? Una mancanza di talento? Ma che non può essere perché non si può dire
che non ci sia talento tra gli anarchici. Ma perché poi le organizzazioni anarchiche sono al collasso? Perché, quando gli anarchici
hanno seguito la loro
coscienza, non hanno ottenuto i risultati che
speravamo? Tutto questo
non può continuare, gli anarchici devono capire
dove sbagliano.
Nell’approcciarsi al loro
lavoro, gli anarchici non devono
limitarsi alle imprese grandiose. Qualsiasi tipo di lavoro è utile.
Sacrificare se stessi è più facile che lavorare
costantemente, fermamente, per il
raggiungimento degli obiettivi
definiti. Tale lavoro richiede una
grande capacità di resistenza e un sacco di energia. Gli anarchici non hanno abbastanza capacità
di resistenza e di energia
e inoltre, devono essere
pronti a sottoporsi - da compagni - alla disciplina e all’ordine.
Gli anarchici devono:
1. essere modelli di comportamento (gli anarchici attualmente non sono
uniti);
2. distribuire ampiamente la loro stampa;
3. organizzarsi e stare in contatto l’uno con l’altro. Per far questo
è necessario avere un registro di
tutti gli anarchici, ma abbiamo
bisogno di essere selettivi e favorire non tanto quelli che sanno di teoria
quanto quelli che possono metterla in pratica.
Il processo della rivoluzione sociale
è in corso e gli anarchici devono essere
pronti per quel momento in
cui dovranno
usare tutte le loro forze e ciascuno
portare avanti il suo proprio compito,
senza sperare di ricevere qualcosa in cambio.
Ma il nostro lavoro si deve basare sulla esemplarità, per esempio nella
stessa Mosca dovremmo creare una intera rete di orti su basi comuniste. Questo sarebbe il miglior
mezzo di agitazione tra la
gente, tra persone che, in sostanza, sono anarchici naturali.”
Malcom
Archibald (http://www.malcolmarchibald.com/)
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Nestor Makhno: Legendi ta Real’nist (Kiev
1994) Fiction
Iu. Ianovoski,
Baigorod (Kiev 1927)
Sulla questione della difesa
della Rivoluzione*
Nestor Makhno
Nel quadro del
dibattito che ha avuto luogo
tra
i compagni di molti paesi
sulla Bozza di Piattaforma dell’Unione Generale
degli Anarchici, pubblicata
dal Gruppo degli
Anarchici Russi all’Estero, mi
viene chiesto da più parti
di dedicare
un paio
di articoli
alla questione della difesa della rivoluzione.
Cercherò di trattare questa gravosa questione con la
massima attenzione, ma anzitutto considero
mio dovere
precisare ai compagni che la
questione della difesa della rivoluzione non
è il punto centrale della
Bozza di Piattaforma dell’Unione Generale degli
Anarchici... E visto che la questione non è fondamentale, non sento nè un
bisogno
pressante nè
la necessità di
dedicarvi tempo
ed energie, discutendola come fanno
molti nostri compagni.
Per me personalmente (e direi
per ogni
compagno serio), quello che
importa è l’aspetto fondamentale della “Bozza di Piattaforma
dell’Unione Generale degli Anarchici”. E’
corretta, e indica la necessità di
studiarla attentamente nei nostri circoli
comunisti anarchici.
Quel che
manca deve essere aggiunto, e in
base al
risultante documento, dobbiamo
ricompattarci, introducendo una organizzazione più completa delle nostre forze. Altrimenti,
il nostro movimento sarà
condannato a cadere definitivamente
sotto l’influenza degli opportunisti e dei liberali
che navigano
nel nostro
ambiente, o peggio, degli speculatori
e di ogni
sorta di avventuriero politico, capaci,
quando ci va bene, di chiacchierare
a lungo ma incapaci di lottare sul territorio per la realizzazione
dei grandi obiettivi del
nostro movimento. Ciò può succedere solo portando con noi tutti
coloro che credono
istintivamente nel nostro
movimento e che aspirano a conquistare tramite la rivoluzione
la libertà e l’indipendenza più complete al fine di costruire una nuova
società, una nuova giustizia, un nuovo ordine, dove
ogni individuo potrà finalmente affermare senza impedimento la propria volontà creatrice per il bene di se stesso
e dei suoi uguali.
In quanto alla questione
della difesa della rivoluzione in
generale, mi appoggerò sulla lunga
esperienza che ho vissuto in
prima persona durante la rivoluzione
russa in Ucraina, nel cuore della
lotta impari ma decisiva
portata avanti dal movimento rivoluzionario dei
lavoratori ucraini. Tale esperienza mi ha insegnato, per prima cosa, che
la difesa
della rivoluzione è legata direttamente all’offensiva rivoluzionaria
contro la controrivoluzione. Secondo, che la crescita e lo sviluppo delle forze per la difesa della rivoluzione
sono sempre condizionati dalla resistenza dei controrivoluzionari.
Terzo,
ciò che discende da quanto appena
detto: che le azioni rivoluzionarie
dipendono intimamente nella maggior parte dei casi dal contenuto politico, dalle strutture
e dai metodi organizzativi
impiegati dai
distaccamenti armati rivoluzionari, che devono
affrontare su un grande fronte gli eserciti convenzionali
controrivoluzionari.
Nella lotta
contro la controrivoluzione, la rivoluzione
russa cominciò sin
dall’inizio ad organizzare, sotto la direzione dei bolscevichi, dei
distaccamenti di guardie
rosse. Si è visto molto
rapidamente che le
guardie rosse non sopportavano la pressione della controrivoluzione organizzata,
nella fattispecie dei corpi di
spedizione tedeschi, austriaci ed ungheresi, per il semplice
motivo che operavano per
la maggior
parte del tempo senza alcun
orientamento operativo generale. Ecco perchè i bolscevichi fecero ricorso all’organizzazione dell’Armata Rossa
nella primavera del 1918.
Era quello il
momento in cui noi lanciammo la parola d’ordine
dell’organizzazione dei “battaglioni liberi” dei lavoratori ucraini. Si
vide presto
che l’organizzazione
dei “battaglioni
liberi” nella primavera del 1918 era impotente nel
disfarsi delle provocazioni interne di
ogni sorta, dal
momento che integrava
senza
alcuna verifica adeguata, politica o sociale, tutti i volontari che
desideravano solo impugnare
le armi e combattere. E’ così
che le unità armate create da questa organizzazione furono perfidamente consegnate ai controrivoluzionari.
E ciò impediva ad essa di adempiere fino in
fondo il suo ruolo storico nella lotta contro la controrivoluzione tedesca, austriaca ed ungherese.
Tuttavia, dopo quel primo intoppo
dell’organizzazione dei “battaglioni
liberi” - che si potrebbero
descrivere come unità combattenti rivoluzionarie per la difesa
immediata della rivoluzione
- non perdemmo la testa. L’organizzazione dei “battaglioni liberi” fu in
qualche modo modificata nella
sua
forma. I battaglioni furono completati dagli ausiliari o distaccamenti partigiani di tipo misto, cioè comprendente cavalleria
e fanteria, il cui compito
era di agire ben dietro il nemico. L’efficacia di questa organizzazione,
lo ripeterò, ebbe
la prova
del fatto
nelle azioni contro i corpi di spedizione tedeschi, austriaci ed ungheresi e le bande
dello hetman Skoropadsky,
durante la fine dell’estate e
l’autunno del 1918.
Tenendosi a questa forma di
organizzazione della difesa
della rivoluzione, i lavoratori rivoluzionari
ucraini poterono
da soli
strappare dalle mani dei
junker austro-tedeschi
il cappio
che quest’ultimi avevano stretto attorno alla rivoluzione in Ucraina e, non accontentandosi di difendere la rivoluzione,
essi intensificarono il più
possibile la loro azione per diversi mesi,
difendendola dagli eserciti tedeschi ed ungheresi e dalle forze del direttorio ucraino,
guidate da Petliura e Vinicenko e dalle forze dei
generali Kaledin e Denikin1.
Man mano che la
controrivoluzione si sviluppava nel paese, essa riceveva aiuti da altri
paesi. Da questi
paesi la controrivoluzione riceveva non
solamente armi e munizioni
ma anche
soldati. Nonostante ciò, anche la
nostra organizzazione per la difesa
della rivoluzione crebbe
ugualmente e adottò simultaneamente, in funzione al bisogno, nuove forme
e mezzi più appropriati per la sua lotta.
Com’è risaputo, il fronte controrivoluzionario più pericoloso
all’epoca consistette nell’armata di Denikin. Il movimento insorto rivoluzionario, però,
tenne il passo con Denikin per 5-6 mesi. Molti dei migliori comandanti denikiniani inciamparono sulle nostre forze rivoluzionarie organizzate, che non avevano chiesto
alcun aiuto e che erano equipaggiate solamente
di armi catturate al nemico. La
nostra
organizzazione vi apportò
un grande
contributo: senza calpestare
l’autonomia interna nelle unità
combattenti, essa permise il loro riorganizzarsi in reggimenti e brigate, coordinati da
1 in quel periodo i
bolscevichi non disponevano di forze in Ucraina. Le prime forze bolsceviche
arrivarono in Ucraina dalla Russia solo diverso tempo
dopo ed occuparono subito un
fronte contro la controrivoluzione parallelo al nostro, cercando in apparenza
di unirsi ai lavoratori rivoluzionari organizzati in maniera autonoma e
soprattutto senza il loro controllo statalista, ma in realtà si occuparono della scomposizione e
dispersione dei lavoratori, non disdegnando metodi quali il sabotaggio dei
rifornimenti di munizioni -proprio nel momento in cui noi cercavamo di portare
avanti un’offensiva lungo tutto il fronte e quando l’esito della battaglia
dipendeva dalla forza della nostra artiglieria e dalle nostre mitragliatrici.
un comune Stato maggiore operativa.
E’ vero che la creazione di un comune Stato
maggiore operativo si verificò
solo grazie alla presa di coscienza
delle masse lavoratrici rivoluzionarie che combattevano sia sul fronte che nelle
retrovie, della necessità di un comando
unico. Inoltre, sempre sotto
l’influenza del nostro gruppo contadino anarcocomunista, questi lavoratori
si occupavano anche di determinare i diritti uguali per ogni individuo per poter partecipare alla nuova costruzione sociale, in tutti
i campi, tra cui l’obbligo
di difendere queste conquiste. Così, mentre il fronte
denikinano controrivoluzionario minacciava a morte
la rivoluzione (e le nostre
idee antistataliste che la animavano), che veniva seguita con un vivo interesse dai lavoratori rivoluzionari, questi lavoratori
si raggruppavano sulla
base del nostro
concetto organizzativo della
difesa della rivoluzione,
facendolo proprio e rafforzando l’armata degli insorti con
un flusso
regolare di combattenti freschi in
sostituzione di quelli feriti o affaticati.
Le esigenze pratiche della
lotta comportavano all’interno del nostro movimento per la difesa della rivoluzione la creazione di uno stato
maggiore operativo ed organizzativo di controllo
unitario su tutte le
unità combattenti.
E’ in seguito a questa pratica che io non posso accettare l’idea che
gli anarchici rivoluzionari rifiutino
nella loro azione pratica tra i ranghi delle
masse lavoratrici la necessità di un tale Stato maggiore unito per orientare strategicamente le forze armate della
rivoluzione contro le forze della controrivoluzione.
Noi siamo convinti che ogni anarchico rivoluzionario che si trovasse, durante un’autentica
rivoluzione dei lavoratori, nelle
stesse condizioni a quelle che noi conoscemmo durante la guerra civile in
Ucraina sarebbe
costretto ad usare gli stessi
metodi militari- rivoluzionari
che usammo noi quando vivemmo la
storia della lotta civile in Ucraina.
Ma se, nel corso di una futura rivoluzione sociale, ci saranno anarchici che negano i principi organizzativi di cui sopra,
nonostante l’esistenza di fronti armati controrivoluzionari, allora questi anarchici
faranno parte del movimento solo di nome, mentre
in realtà essi saranno fuori del movimento, o vi apporteranno danni.
Nel risolvere la
questione della difesa della
rivoluzione, gli
anarchici devono lasciarsi guidare
dal carattere sociale dell’anarco-
comunismo. Se il nostro movimento è un movimento rivoluzionario
sociale, dobbiamo riconoscere la necessità che sia organizzato e di dargli
certi mezzi degni per l’azione sociale, ovvero delle istituzioni sociali, e poi prendere parte di tutto cuore alla vita pratica
e alla lotta delle masse lavoratrici.
Nel caso contrario, se questo movimento è un’utopia dei sognatori, allora non dobbiamo impedire la lotta dei lavoratori rivoluzionari, in particolare coloro che non ci comprendono e che seguono i socialisti statalisti. Indubbiamente l’anarchismo è un movimento sociale rivoluzionario e per questo io sono e sarò sempre fautore della sua organizzazione specifica e per l’organizzazione, al momento della rivoluzione, di battaglioni, reggimenti, brigate e divisioni che necessariamente dovranno fondersi, in certi momenti, in un’armata regionale unica, sotto un singolo comando regionale nella forma di uno Stato maggiore organizzativo di controllo il cui compito sarà, secondo le necessita e le condizioni della lotta, di elaborare un piano operativo federativo, coordinando le azioni delle armate regionali al fine di concludere con successo i combattimenti sui vari fronti contro la controrivoluzione armata.
La questione della
difesa
della rivoluzione
dalla controrivoluzione armata non è cosa
facile. Essa può
esigere dalle masse
rivoluzionarie armate una
tensione organizzativa veramente
notevole. Gli anarchici rivoluzionari devono saperlo
e tenersi pronti a dare il loro contributo in questo compito.
Delo Truda, N. 25, giugno 1927, pp.
13-14.
*Tratto da Nestor McNab (a cura di), La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici: origine, dibattito e significato, FdCA, Milano 2007.
Tradotto dal russo in francese da Alexandre Skirda; dal francese in italiano con riferimento
all’originale in russo da Nestor McNab.
Lenin e il leninismo, guide
del proletariato mondiale?
Nestor Makhno
In tutti i paesi, e particolarmente negli stati che
formano l’Unione delle repubbliche sovietiche, si alza un clamore selvaggio, insensato:
“Lenin è la guida dei lavoratori di tutti i paesi, egli ha edificato
una teoria da essi utilizzabile ed ha mostrato
quale sia il vero cammino della liberazione vittoriosa, etc.”.
Ovvero, nel paese medesimo
dove i boia bianchi e rossi, nell’interesse dei loro partiti, hanno
decapitato l’incomparabilmente grande rivoluzione russa
- la liberatrice
dei lavoratori - e attualmente
dirottano le masse laboriose dalla loro vera meta; proprio là si è perduta
la fiducia
in se
stessi, nella forza creatrice dell’azione
spontanea per l’organizzazione della nuova società. E quest’evento
si è prodotto in un paese
in cui
è scoppiata questa grande rivoluzione e dove essa è finita così
prematuramente (ben prima d’aver conseguito
il suo pieno sviluppo) nonostante l’entusiasmo
di cui - Lenin ed i bolscevichi esclusi - le masse lavoratrice erano animate.
Alle sopra citate sciocchezze (ma per i partiti bolscevichi degli altri paesi
sono
invece
affermazioni di
grande
importanza)
- che
non sono
affatto degli scherzi, ahimè, ma
piuttosto il marchio di una criminale
irresponsabilità - fanno eco le urla dei partigiani di Lenin nei paesi
esteri. Come conseguenza, queste affermazioni
sono accettate
come vere anche da coloro
che non
sono partigiani
di Lenin, gli uomini-schiavi di
cui l’intelligenza,
la forza,
la volontà
sono in mano al capitale abietto e maniaco. Molti dunque, si
ingannano e ingannano gli altri, si sgolano a gridare: “Lenin è la guida del Proletariato di tutti i paesi, egli ci ha donato la teoria della liberazione, egli ci ha mostrato
la via della vera liberazione”.
È inconcepibile che
il borghese Lenin sia la guida del proletariato mondiale. Questa pretesa ci
sembra
ingiustificabile, senza fondamento, a noi
contadini rivoluzionari, che abbiamo superato tutte le tappe della rivoluzione russa ed abbiamo fatto
l’esperienza del “leninismo”. Collocare
Lenin su un piedistallo in questa veste è una
derisione che prova
unicamente la debolezza di spirito
di coloro che si sforzano d’attribuire
a quest’uomo la direzione
del proletariato, mentre in realtà egli
non si trovava nemmeno nel paese
durante la grande rivoluzione russa. L’assassinio
di quest’ultima
non ha avuto luogo se non grazie all’infantile ingenuità
del popolo.,
e più ancora a causa delle baionette
dei mercenari che, nella loro cecità, si vendettero
al partito leninista.
A nostro
avviso, mettere Lenin
sul piedistallo in qualità di “guida
di tutti i lavoratori del mondo “ non è altro, né più né meno, che una cattiva e criminale farsa nei confronti dell’umanità ingannata
e oppressa, ancora abbastanza
accecata da attribuire
a queste sciocchezze un valore
definitivo e specifico.
Il partito socialdemocratico
bolscevico, che erroneamente si denomina
comunista, ed il cui
sostegno spirituale fu
il borghese
Lenin (Ulianov Lenin), colui che
fino alla morte satura
la grande rivoluzione
russa della sua ignoranza scientifica e del suo vuoto marx-
leninismo; questo partito agisce allo stesso modo della Borghesia verso i lavoratori, cioè a dire vuole unicamente e semplicemente degli schiavi
fedeli.
Da Marx a Lenin,
e dopo la loro scomparsa, questo
partito ha sempre voluto essere l’educatore di tutta l’umanità lavoratrice, a carico di quelli
che
lavorano: esso non si rende
nemmeno conto che è un
educatore intruso, gesuitico, che si sforza di condurre le masse oppresse sotto un preteso vessillo di liberazione, mentre
irresponsabilmente le smarrisce
con una
vittoria apparente sulla schiavitù economica, politica, psichica. In realtà,
esso non persegue che una riforma della schiavitù dell’umanità. Ha sufficientemente
dimostrato attraverso
le sue azioni durante la grande rivoluzione
russa, di saper essere un eccellente boia; un boia non soltanto
di coloro che in periodo di lotta e fra gli uomini rappresentano un elemento malsano e corrotto, ma anche di coloro i cui impulsi sono sani,
puri e belli, che si aprono nobilmente un libero sentiero,
che
lavorano allo sviluppo di tutte le
forze creatrici
per
il bene dell’insieme sociale.
Questo partito
si è dimostrato un malvagio educatore, principalmente un educatore nocivo.
I fenomeni che hanno rimarcato
in modo
particolare il partito leninista
russo possono essere del pari osservati
negli altri paesi. Questo semplice fatto a titolo d’esempio: noi vediamo i comunisti marciare in ranghi nelle strade, bastone in mano e randello di
caucciù dissimulato.
Da questa constatazione
insignificante noi possiamo
concludere che il movimento
bolscevico, durante la rivoluzione
russa, aveva un carattere più demolitore che rivoluzionario (negli altri paesi rivela lo stesso carattere).
Il bolscevismo leninista comporta in sé idee malsane in base a cui i lavoratori del mondo non saprebbero assumersi,
in nessun caso, alcuna responsabilità. Questo, a volte, viene riconosciuto anche tra i ranghi
del partito leninista, ma sempre confusamente.
Esistono ancora milioni di
lavoratori
che, sotto
l’influenza del partito, si immaginano
di essere chiamati a dirigere il destino dell’umanità, invece di
pensare ad un’unione libera
e fraterna con
i contadini poveri; avvelena
i lavoratori - che durante
la loro vita non hanno mai sentito e pensato se non come schiavi salariati,
dipendenti - questo pensiero criminale per cui, adesso, gli schiavi
decidono la sorte degli altri, tranquillizza
i loro cuori. “Ah! Il tempo
aggiusterà tutto”. È su queste parole di speranza e d’attesa che riposano i
più evidenti attentati del partito
a danno della classe lavoratrice,
al prezzo del sua sangue e della sua
vita. Si è celato ai lavoratori, si è loro mascherato, il crimine commesso verso la rivoluzione
e le folle rivoluzionarie che
con tutto il loro ardore si sforzavano di condurre la
rivoluzione
a buon fine distruggendo, una volta per
tutte, la schiavitù e liberandosi dalla catene dello sfruttamento.
È comprensibile
che
il partito socialdemocratico dei comunisti bolscevichi, i quali perseguono i loro scopi nella vita privata e
pubblica, attribuisca una grande
importanza al fatto che Lenin sia elevato
al rango di capo mondiale di tutti i
lavoratori;
di modo che il suo nome costituisca un legame
tra il proletariato di tutti i paesi ed il loro partito. La dedizione di Lenin all’interesse del
suo partito, il suo ardore personale
sono davvero considerevoli. Un
partito che porta il suo nome considera suo dovere rendergli onore. E gli rende
omaggio perché ne ha bisogno come insegna...
Ma cos’ha in comune il
bolscevismo leninista con le speranze ardenti
dell’umanità sfruttata ed a corto
di forze? Il bolscevismo che nella pratica sfocia nel diritto di dominazione dell’uomo
sull’uomo e che sarà riconosciuto, da
chiunque rifletta, come detestabile e criminale?
Il borghese Lenin
con il
suo panbolscevismo, lui
e tutto il suo partito, volendo asservire alla sua volontà con la forza la massa dei
lavoratori, è tanto lontano
dalle mete elevate di una vera liberazione quanto le istituzioni della
Chiesa e dello
Stato, quali noi le vediamo.
Attualmente questa confusione di idee
sembra
misteriosa, ma si deve solo rileggere, ad occhi aperti, gli
ultimi scritti di Lenin che, secondo l’opinione stessa
dei bolscevichi, ne sono il testamento. In
un rapporto presentato al Comitato di Mosca del Partito
comunista russo, il 10
gennaio di quest’anno (Isvestia del 14 gennaio 1925), Kamenev
comunica
le ferree istruzioni in base su cosa si deve dire
di Lenin
quando verranno
fatte domande, e ricorda questo testamento dell’assente.
L’assunzione di Lenin nelle
altezze
celesti da cui egli discende
verso di noi quale guida
mondiale del proletariato esige che diciamo
due parole su questo
soggetto. Dunque, nel
testamento citato da Kamenev, Lenin
dice: “Noi dobbiamo edificare uno Stato dove gli operai
conserveranno la supremazia su tutta la classe dei contadini2”. Che voleva dire qui la “guida mondiale
del proletariato”? Che gli operai che aderiscono al partito leninista
non dovrebbero mai pensare
di costruire una nuova società
in collaborazione
con la classe contadina?
O che egli voleva
assoggettare quest’ultima al
dominio della sua inconcepibile Dittatura operaio/bolscevica?
Ed all’edificazione di un tale stato - in cui l’operaio ha il diritto di mettere sotto tutela tutta la classe
contadina - molto abilmente era
legata per Lenin l’idea dell’elettrificazione delle campagne. Se la classe operaia vuole dare seguito a quest’idea, i più grandi progressi sono possibili e si crea la
grande industria. “Attraverso ciò”
continua la pretesa
guida mondiale di tutti i lavoratori “sarà assicurata la rapida trasformazione degli affamati cavalli
dei contadini in potenti corsieri - noi svilupperemo certamente una grande industria
meccanica, elettrificata” ed aggiunge
“noi siamo quindi sicuri di restare al potere”.
Non è il caso qui di discutere
la questione della trasformazione
dei piccoli cavalli in
grandi aratri
meccanici. Noi crediamo fermamente alla forza creatrice
dei lavoratori e siamo convinti che
2
Wir müssen einen
Staat aufbauen, in welchem die Arbeiter die
Oberhand über die ganze Bauernschaft
behalten.
se essi espropriano
realmente la classe borghese di tutti i mezzi di produzione, del suolo e della proprietà
fondiaria, allora sapranno
ben riorganizzare la loro vita e tutte le loro relazioni economiche ed individuali. Una
tutela dittatoriale sui
contadini da parte di “operai”
come Lenin, Kamenev,
Zinovev,
Trotsky, Dzershinsky, Kalinin e tanti altri,
si dimostrata, nell’applicazione, impotente. Essi non sono riusciti a produrre che partiti, compromessi, deviazioni, arretramento dal bolscevismo
al fascismo
(il terrorismo
politico dei bolscevichi verso le idee rivoluzionarie ed i loro difensori non differisce in nulla dal
terrorismo fascista).
Quando Lenin incita le masse ad edificare uno Stato in cui gli operai abbiano la supremazia sui contadini, attenta
all’idea di una libera comunità di lavoro fra essi; egli
spinge la rivoluzione russa ad una situazione tale che i lavoratori oppressi
rendono l’ultimo respiro. Essi
sarebbero stati letteralmente
soffocati e non avrebbero avuto
la libertà condizionale di cui “godono” oggi nell’unione delle repubbliche sovietiche
se i contadini avessero opposto la loro
propria autorità a quella della classe operaia.
Per fortuna i contadini
della Russia e dell’Ucraina
non hanno
la benché minima fede in Karl Marx; essi sanno assai bene che ogni violenza, qualunque
nome essa
porti, è criminale e volgare. Il
contadino russo non si è mai sentito attirare
dalla violenza, e l’ha sempre maledetta.
Ha sacrificato la sua libertà, se non la vita, per proteggere il “governo
degli
operai”
contro gli attacchi della borghesia,
poiché credeva essere l’operaio nel suo intimo estraneo ad ogni dispotismo, e che egli l’avrebbe aiutato
a scacciare la servitù dalle sue fila.
In luogo di questo, operai e contadini hanno subito gli uni e gli altri una nuova dominazione.
La questione che ora ci si pone è questa: parlare dell’edificazione di uno stato in cui una
componente popolare ne domina un’altra
- rientra nell’atteggiamento di una
Guida mondiale del Proletariato? O piuttosto fa parte del linguaggio da capo di
un gruppo di uomini che si sono dati come meta, sotto un falso vessillo di liberazione reale dal Capitalismo,
il perseguimento di una riforma del sistema capitalista, grazie agli sforzi dei lavoratori
ed a loro spese?
Noi affermiamo che un uomo di nome Lenin ha parlato
in questo
secondo senso -
che ha parlato
come rappresentante del partito
bolscevico che, se vuole essere imparentato con i lavoratori del
mondo, non conosce rapporti di familiarità con le masse se non
a condizione di considerarle come un
mezzo per conseguire, senza difficoltà, la meta a cui tende come partito.
Fortunatamente i lavoratori del
mondo non hanno detto la
loro ultima parola: accetteranno,
liberandosi da un’autorità, di
mettersi poi sotto il giogo di una nuova costrizione, dispotica, più raffinata, tanto crudele (se non di più) quanto quella
che vorrebbero scuotere? I lavoratori del mondo sanno a sufficienza che il loro compito sacro è quello di ridurre a nulla questa
nuova
violenza, al pari di tutte le altre.
Vivere fraternamente, liberati da
ogni dipendenza e soggezione
servile - ecco tutto l’ideale dell’Anarchismo,
che la
natura sana dell’uomo implica. Il
borghese Lenin e il suo partito
bolscevico hanno sempre combattuto
questo ideale elevato. Con le baionette, lo strangolamento, con
le persecuzioni
a cui sono stati esposti i portatori di questo ideale,
i leninisti si sono sforzati
di sporcarlo, di snaturarlo agli occhi delle masse. Al suo posto hanno cercato
di far trionfare, grazie alla forza delle armi - prima tra gli operai,
ed
attraverso di loro nell’umanità intera - un ideale
di
omicidio continuo, di violenza brutale, d’avventure
politiche.
Dopo questo,
definire Lenin “la Guida mondiale
del Proletariato”
non è una derisione? Sì, è uno scherzo
sinistro e criminale verso l’umanità
sfruttata, ingannata, asservita.
Svezia, fine del maggio 1925
Articolo pubblicato ne l’en
dehors, 31 agosto, 1925
[Traduzione di Pierfrancesco Zarcone.]
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