domenica 7 giugno 2009

La nascita del laboratorio eco-ambientale del c.s.o.a. Forte Prenestino di Roma


L’idea di formare un laboratorio ambientale all’interno del Forte (così viene brevemente chiamato il c.s.o.a Forte Prenestino di Roma dai frequentatori) nasce durante la primavera del 2008, quando gli agricoltori dell’alta valle del fiume Sacco, del connettivo terra/Terra, hanno comunicato al laboratorio di interazione sociale del Forte, la necessità di compiere analisi chimico-biologiche dei terreni che coltivano e delle acque usate per l’irrigazione. Ricordo che l’alta valle del Sacco, situata in prossimità di Roma, è stata profondamente colpita dall’inquinamento da beta-esaclorocicloesano, un pesticida largamente usato fino all’anno 2000, a causa della gestione criminale del territorio dell’industria chimica, specialmente nella fase di stoccaggio dei rifiuti.
Tornando al laboratorio, questa richiesta ha contribuito in modo determinante ad aggregare persone di varie discipline scientifiche, interessate ad una gestione non mercificante dell’ambiente ed ha portato all’inizio di questo anno alla formazione del laboratorio.
Vari sono i progetti che il laboratorio eco-ambientale sta mettendo in campo, dal cercare di creare un piccolo laboratorio di analisi chimiche, che sia di supporto ai produttori agricoli di terra/Terra e non solo, al tentativo di diventare un punto di riferimento tecnico in grado di monitorare la qualità ambientale del nostro territorio a stretto contatto con tutti quei comitati autogestiti di cittadini che combattono il degrado ambientale imposto dall’attuale modello di sviluppo economico.
Il sogno principale è che questa nuovissima struttura orizzontale ed autogestita divenga un punto di riferimento ambientale per il nostro territorio. E, perché no, che possa diventare anche una forma di autoreddito per quelle giovani figure professionali che intendono mettere al servizio della collettività e non dei pescecani territoriali le loro competenze tecniche.
Attualmente il laboratorio è impegnato sul territorio aquilano colpito dal sisma del 6 Aprile, in contatto e collaborazione con le strutture autogestite di solidarietà presenti nel paese di Fossa (il collettivo di Epicentro Solidale e quello dello Spazio Libero 51), attraverso un lavoro di informazione e rilevamento del territorio.
L’intervento nel territorio aquilano è iniziato il 17 aprile 2009 a Fossa, con un’assemblea pubblica convocata dallo Spazio Libero 51 di L’Aquila e dai geologi del laboratorio eco-ambientale. Lì abbiamo cercato di informare i partecipanti riguardo le dinamiche geologiche che generano i terremoti e le cause principali che portano al collasso dei manufatti durante i terremoti stessi. Si è cercato, inoltre, di discutere gli scenari futuri possibili, marcando il dibattito su una ricostruzione eco-sensibile che porti ad una gestione autonoma del territorio, in virtù delle grandi potenzialità ecologiche territoriali.
Tutto questo in un clima pesantissimo di controllo centralizzato del territorio ad opera delle forze dell’ordine e in special modo ad opera della Protezione Civile, che ha trasformato i campi di accoglienza in veri e propri lager, dove le comunità locali non hanno alcun potere decisionale sulla gestione della vita delle tendopoli; dove anche ricevere la visita di qualcuno proveniente da fuori viene ostacolato con mezzi burocratici assurdi; dove tutto è deciso ed è sotto il controllo della Protezione Civile.
Tuttavia, da questa prima uscita pubblica del laboratorio è scaturito un primo documento informativo dal titolo “Terremoti e prevenzione”, il cui testo è reperibile per intero sia sul sito web della FdCA (http://www.fdca.it/), nella sezione dedicata ai temi ambientali, sia sul n.18 del 10 Maggio 2009 di Umanità Nova, oltre che essere stato fatto proprio da vari siti e blog di controinformazione.
Oltre a spiegare le cause geologiche che generano la maggior parte dei terremoti in Italia, nell’articolo vengono messe in risalto quelle che sono le colpe e le responsabilità dello Stato, delle amministrazioni e delle imprese private nella gestione tecnica del territorio italiano, specialmente dal punto di vista della prevenzione sismica, nelle aree dove la pericolosità in tal senso è elevata, ribadendo come ancora una volta il profitto di pochi sia stato considerato più importante del benessere e della sicurezza dell’intera comunità.
Altro argomento toccato nell’articolo è quello della incapacità, da parte degli organi statali preposti, sia politici che tecnico-scientifici, di organizzare aiuti tempestivi alla popolazione e la loro spocchiosa insensibilità alle opinioni non accademiche. Difatti, alle perplessità sollevate dal tecnico Giuliani, il gotha scientifico italiano ha risposto con supponente sicurezza, appellandosi al fatto che l’aumento dell’emissione del Radon e lo sciame sismico non per forza devono far pensare al verificarsi di un evento catastrofico. Questo è vero, spesso all’aumento dell’emissione del Radon e dell’attività sismica non segue un terremoto di grande energia, è anche vero che tutte le grandi scosse non sempre sono precedute da questi e altri fenomeni premonitori. Però, spesso i due fenomeni sono associati; allora perché non è stato applicato il sano principio di precauzione, coordinando almeno un piano operativo che prevedesse una maggiore tempestività dei soccorsi, ad esempio, col dislocamento strategico dei mezzi? Perché si è risolto il tutto con un’oretta di riunione dove sono state dette una serie di ovvietà sulla pericolosità della situazione, senza però decidere niente? (vedi il verbale della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009 su http://abruzzo.indymedia.org/article/6327). E perché poi Bertolaso si è sentito in dovere di dare dell’imbecille al tecnico Giuliani, comunicando una denuncia per procurato allarme nei suoi confronti?. Chi è Bertolaso? Perché si è fatto un gran parlare degli sciacalli? Chi sono i veri sciacalli e speculatori del terremoto in Abruzzo? Dopo quello che è successo si potrebbe creare un precedente giudiziario denunciando la protezione civile per “MANCATO procurato allarme” o per “supponente e manifesto menefreghismo”?
Comunque, dopo l’assemblea e l’uscita dell’articolo è iniziato il lavoro sul campo dei geologi del laboratorio.
Fino ad ora sono state effettuate tre uscite nelle quali sono state verificate sperimentalmente alcune osservazioni contenute nel documento informativo “terremoti e prevenzione”.
L’intento del nostro lavoro sul campo è quello di scoprire i motivi per cui alcuni edifici hanno subito danni ed altri no. In generale possiamo dire che un edificio colpito da un sisma subisce danni in funzione di varie condizioni al contorno, di cui le principali sono: energia dinamica liberata dal terremoto (magnitudo); effetti locali di amplificazione delle onde sismiche; resistenza intrinseca all’edificio dovuta alle sue caratteristiche di deformabilità.
La prima condizione dipende dalla distanza dall’epicentro e diminuisce con questa e per un abitato piccolo come Fossa è la stessa per tutti gli edifici che lo compongono.
La seconda dipende dalle caratteristiche geologiche e topografiche del sito dove risiede il singolo edificio e può essere molto diversa anche per fabbricati molto vicini (anche vicini di pochissimi metri!).
La terza varia da edificio ad edificio e dipende dal tipo e dalla qualità dei materiali impiegati nella costruzione e dal tipo di struttura portante.
Capire quindi le cause che hanno provocato dei danni selettivi in un abitato come Fossa, o individuare le potenziali situazioni di pericolo futuro in senso dinamico, significa prendere in considerazione le ultime due condizioni al contorno citate: effetti locali di amplificazione sismica e tipologia dei materiali da costruzione e delle strutture.
Quindi durante il lavoro di rilevamento geologico che ci fornirà, appunto, la base geologica territoriale, facciamo anche delle osservazioni sulle tipologie costruttive distribuite sul territorio ed una catalogazione dei danni osservabili macroscopicamente.
Nella prima uscita, effettuata il 9 e 10 Maggio, questa metodologia lavorativa ci ha gia permesso di avere alcune conferme sperimentali a quanto dicevamo nella precedente relazione “Terremoti e prevenzione”, sia nel senso delle tipologie costruttive che delle caratteristiche locali geologiche.
Abbiamo avuto la conferma ad esempio che le vecchie case in muratura, se prive di qualsiasi opera irrigidente come ad esempio dei semplici cordoli in calcestruzzo a livello dei solai, sono le più vulnerabili alle sollecitazioni sismiche. Un’altra conferma è stata quella dei danni dovuti alle amplificazioni sismiche locali nel primo tratto della strada di entrata al paese provenendo da L’Aquila. Qui le abitazioni si trovano su una falda detritica di pendio che è caratterizzata da due diverse tipologie litologiche: una breccia di pendio più antica e prevalentemente cementata ed una falda detritica incoerente più giovane, sovrapposta alla precedente. Da prime osservazioni, gli edifici fondati sulla falda incoerente sembrano interessati da una maggiore diffusione dei dissesti.
Un altro elemento importante è stato l’individuazione di situazioni macroscopiche di vulnerabilità. Una di queste, a conferma di quanto dicevamo nel documento informativo, inerente l’inadeguatezza di certe strutture in calcestruzzo armato, specialmente se non costruite con determinati crismi, riguarda lo stato di degrado della struttura della Scuola elementare di Fossa. In essa l’armatura del calcestruzzo di uno dei pilastri d’angolo è venuta alla luce in seguito al distacco del copriferro provocato dalle vibrazioni del terremoto. Tali vibrazioni hanno avuto gioco facile in un copriferro evidentemente gia lesionato e distaccato dal resto dell’elemento in calcestruzzo, per l’incipiente corrosione di cui sono affetti i ferri d’armatura.
L’armatura della struttura portante della Scuola Elementare risulta fortemente corrosa ed in queste condizioni risulta molto vulnerabile di fronte agli sforzi orizzontali portati da un probabile futuro sisma, anche perché il processo corrosivo continuerà nel tempo con la conseguente e progressiva perdita di resistenza agli sforzi di taglio.
Nella seconda uscita di rilevamento geologico e strutturale a Fossa (16 Maggio) siamo riusciti a ispezionare la parte alta del paese grazie anche all’autorizzazione concessaci dal Comune di Fossa in seguito alla richiesta fattagli dai compagni dello “spazio libero 51”.
Grazie all’autorizzazione siamo stati accompagnati dai VVFF nella parte più alta del paese, dove abbiamo scoperto che i problemi sismici di Fossa non sono solo di natura strutturale costruttiva e microsismica ma anche geomorfologici.
Gia un sentore lo avevamo avuto osservando dal basso le tracce fresche di più di una frana che solcano le pendici orientali del monte che sovrasta il paese a ovest. Tuttavia è solo quando si arriva nella parte più alta del paese che si ha una visione più realistica della situazione.
La strada che sale dalla piazza più alta del paese e che porta verso il convento di S.Angelo, denominata “strada comunale dei frati”, è interrotta subito dopo l’incrocio con la “via del castello” da una frana di crollo costituita da blocchi calcarei delle dimensioni anche di alcuni metri. La frana ha interessato una litologia calcareo organogena, ricca di rudiste (fossili di molluschi di scogliera marina del periodo cretacico), sia intere che in frammenti, intensamente carsificata, sovrastante un’altra formazione, affiorante sul taglio della strada, caratterizzata da un calcare di aspetto “coroide” intensamente fratturato per cause tettoniche.
Tutto questo (l’intensa fratturazione tettonica, i fenomeni carsici superficiali e l’intervento degli agenti atmosferici) ha conferito all’intera parete rocciosa una scarsa compattezza su cui i movimenti sismici hanno avuto facile gioco nel provocare le frane di crollo.
A Fossa ciò introduce un nuovo elemento di pericolosità sismica, di carattere geomorfologico, che va a sommarsi alla inadeguatezza delle strutture costruttive e agli effetti locali geologici di amplificazione dinamica.
La messa in sicurezza dell’abitato non potrà quindi prescindere anche dal risanamento della parete rocciosa che sovrasta Fossa nella sua parte occidentale.
Nella terza, e per ora ultima, uscita di rilievi (30 e 31 Maggio) siamo andati sulla sommità del monte che sovrasta l’abitato di Fossa, dove è situato un antico castello medievale (il Castello di Ocre).
Qui oltre ad avere la conferma dello stato di estrema instabilità della parete rocciosa che sovrasta Fossa, con enormi massi lesionati e quasi staccati dalla parete, abbiamo potuto osservare i danni subiti dal castello. Praticamente il monumento ha subito crolli in tutte le sue porzioni, anche in quelle parzialmente ristrutturate in età recente. L’entità dei danni osservati è un’altra conferma della necessità di applicare sul territorio gli studi sugli effetti locali di amplificazione sismica.
Infatti è abbastanza chiaro che sui danni subiti dal castello, oltre alla vetustà della struttura, ha contribuito anche la sua particolare posizione topografica, caratterizzata dall’essere situato su una stretta cresta, dove fenomeni di riflessioni multiple possono causare il sovrapporsi delle onde sismiche con conseguente amplificazione dell’energia dinamica.
Per ora le poche uscite effettuate ci hanno permesso di appurare che la situazione di Fossa, pur non avendo subito grandi danni nell’abitato, è potenzialmente molto pericolosa e un suo recupero sarà complesso e dispendioso. Tanto è che si parla gia di un abbandono del paese per ricostruirlo in un altro sito. Quello che non si sa è: se e quanto una decisione del genere, se verrà presa, verrà condivisa e compartecipata con le comunità locali o se non sarà un altro comportamento da rullo compressore di uno Stato sempre più autoritario e accentratore.
In tal senso non può non far riflettere l’osservazione di un partecipante all’assemblea del 17 Aprile, che esprimeva la preoccupazione che lo Stato italiano, approfittando del sisma, mirasse in qualche modo allo spopolamento dell’area, in modo che un intero territorio fosse privo o quasi di opposizione, ad uso e consumo delle scellerate quanto autoritarie future scelte in campo di nuove centrali nucleari o di stoccaggio delle scorie prodotte nel “breve inverno nucleare italiano”.

Giugno 2009

I geologi del Laboratorio Eco-Ambientale del c.s.o.a. Forte Prenestino

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